Corriere della Sera (Milano)

Decibel a tutto volume

Il leader Enrico Ruggeri: «In scaletta ci saranno brani storici del gruppo e anche ospiti a sorpresa» La punk band milanese degli anni Settanta è in concerto al Fabrique dopo la reunion

- Paolo Carnevale

L’ultimo concerto di un tour trionfale che termina nella propria città merita una festa. E infatti, si chiude con il «Decibel party» una nuova avventura musicale iniziata un anno fa quasi per caso. Si erano conosciuti al liceo Berchet, Enrico Ruggeri, Silvio Capeccia e Fulvio Muzio, e la passione per il punk li ha fatti diventare una delle band di punta dell’undergroun­d milanese alla fine degli anni Settanta. Dopo la reunion hanno prodotto un disco, «Noblesse oblige», e organizzat­o quaranta date in tutta Italia; i Decibel stasera salgono sul palco del Fabrique per il loro ultimo live dell’anno 2017. E il frontman Enrico Ruggeri, più di quarant’anni di carriera, con 31 dischi — e in mezzo l’attività di scrittore, di autore, di calciatore della Nazionale cantanti, di conduttore televisivo — annuncia sorprese.

Cosa avete preparato per questo party?

«Sulla nostra pagina Facebook abbiamo dato consigli sul look ai nostri fan. Ci piacerebbe che tutto il pubblico si presentass­e con una camicia bianca e con una cravatta nera. Per quanto riguarda la scaletta ci saranno pezzi pescati dai tre album dei Decibel che non abbiamo mai suonato prima, e ci saranno anche ospiti a sorpresa».

Come è nata l’idea di questa reunion?

«Non ci siamo mai persi di vista. Per festeggiar­e i miei 60 anni volevo fare un disco insieme per gli amici. Che poi è diventato un disco per tutti i nostri fan, vecchi e nuovi. Poi è partito anche questo tour che è stato davvero entusiasma­nte e al di sopra delle aspettativ­e».

Voi siete nati nel 1977 sui banchi del liceo Berchet. Che aria si respirava a quei tempi?

«Milano era esasperata. Soffiava un’aria violenta. Si ascoltavan­o gli Inti Illimani in classe. Stavano finendo gli anni di piombo e l’atmosfera era decisament­e pesante».

E intanto voi cantavate «siamo i figli dell’alienazion­e».

«La rabbia punk ci faceva urlare anche “siamo i figli di chi serve questo potere”. Noi giovani eravamo disposti a spaccare il mondo per i nostri ideali. Ora i ragazzi sono diventati troppo borghesi per cambiare le cose».

Trasgressi­vi, però siete andati al Festival di Sanremo.

«In quel periodo c’erano i Collage, Pupo, Toto Cotugno, la Bottega dell’Arte, capelli cotonati, camicia con lo sbuffo. Quando siamo saliti sul palco noi ci vedevano come degli alieni. Ma al Festival abbiamo capito che c’era un’autostrada vuota davanti a noi. La prima volta che in Italia è stata usata la parola “punk”, è stato per i Decibel. Abbiamo avuto la fortuna di essere stati i primi ad andare a Londra e portare in Italia le novità dell’epoca. Con Internet oggi non sarebbe più possibile».

Ora invece cantate «My, my generation».

«Potrebbe essere definito un brano “punk-post apocalitti­co”. Dove prima si suonava ora, proprio lì, sorge una banca. Il riferiment­o in questo caso è alla «Piccola Broadway”», la discoteca di via Redi, angolo corso Buenos Aires. Ma questo è il triste destino di molti locali musicali milanesi, chiusi per la crisi».

«Contessa» in che versione la suonerete?

«Io l’ho fatta in tutte le salse, punk, folk, rock, acustica, quindi abbiamo pensato che per essere originali bastava farla esattament­e come l’originale».

Memoria «Eravamo disposti a spaccare il mondo per gli ideali, ora i ragazzi sono troppo borghesi»

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