Bomba nel condominio per riscuotere il pizzo
Voleva spaventare il debitore. Palazzo sventrato
Minacce, pestaggi e una bomba sotto casa. Anche alle porte di Milano, i metodi della ‘ndrangheta per la riscossione del «pizzo» sono questi. Lo rivela l’indagine che ha portato i carabinieri all’arresto di Roberto Manno, 25enne di Melzo residente a Pioltello. Il giovane appartiene a una nota famiglia di ‘ndrangheta radicata sul territorio. Gli inquirenti lo accusano d’un atto intimidatorio commesso un mese fa a Pioltello, quando un ordigno esplose davanti a un appartamento e causò danni ingenti a una palazzina. L’obiettivo era un operaio ecuadoriano di 45 anni: Manno aveva prestato soldi a tasso di usura al figlio dell’operaio. E per riscuoterli minacciava tutta la famiglia.
La ’ndrangheta al Nord non c’è, in ogni caso non se ne sente davvero la presenza, e comunque al massimo sono malavitosi che si scornano tra loro, che sarà mai, per le persone per bene non c’è problema: è brusco il risveglio dei luoghi comuni che si rivelano pie illusioni ora che i 27 inquilini di 12 famiglie di un intero condominio di Pioltello scoprono — dall’arresto di chi la notte del 9 ottobre mise al primo piano una bomba che sventrò e rese inagibile l’intero palazzo — di essere sfollati per colpa di un fatto di ‘ndrangheta come la violenta estorsione per recuperare un prestito usuraio da un sudamericano scappato in Ecuador per la paura.
Per le ipotesi di reato di estorsione aggravata dalla finalità di agevolare la ‘ndrangheta, di detenzione di esplosivo e di usura, ieri la Direzione distrettuale antimafia ha ottenuto l’arresto di Roberto Manno, 25enne incensurato figlio e nipote e cugino di fami l i a r i condanna t i ne l 2011/2012 per associazione mafiosa nel processo «Infinito» a pene di 9, 15 e 5 anni.
Nella ricostruzione del procuratore aggiunto Ilda Boccassini e del pm Paolo Storari, un giovane ecuadoregno, residente nel condominio «Marzia» in via Dante 9 a Pioltello, e imbarcatosi in marzo a fare il promoter di tre rapper in concerti poi andati non molto bene (specie uno all’ippodromo), non aveva più restituito all’ex compagno di scuola Manno il prestito di 20 mila euro, intanto però lievitati a 32 mila nella pretesa di Manno. Che si fa aggressivo, pressando il padre (dopo che il figlio in agosto scappa in patria) sino a quando il 7 ottobre gli intima: «Se non paga il figlio, paga il genitore, e vedrai quello che ti succederà lunedì» 9 ottobre. Chiosa il gip Paolo Guidi: « Proprio all’incirca un’ora e mezza dopo tale scadenza, è avvenuta l’esplosione proprio davanti alla porta dell’abitazione della famiglia. La sequenza logica e la contiguità temporale riconduce in maniera evidente l’evento dinamitardo all’azione ed al volere di Manno, anche se allo stato non possiamo stabilire se è stato uno dei due esecutori materiali o il mandante».
Le indagini della Dda hanno ripescato inoltre un fascicolo della Procura ordinaria del 2015, contenente intercettazioni dalle quali già emergeva «in diretta» una estorsione di Roberto Manno a una persona dalla quale voleva farsi saldare una fornitura di droga, e che perciò era stata privata dell’auto e picchiata («già mi sono preso una cifra di pugni…non riesco neanche a muovere il braccio… mi sono preso le sprangate...e si è preso la macchina... ma va bene cosi! » . «Chi è che ti ha picchiato?». «Roby…»), finché il padre del malcapitato non aveva pagato il debito.
L’arresto di Manno per la bomba del 9 ottobre, chiesto dai pm il 30 ottobre e firmato il 4 novembre dal gip, viene motivato anche con il fatto che «ha seriamente rischiato di uccidere persone che nulla avevano a che fare con la vicenda»; e che «dopo, confidando nella più totale impunità, ha continuato ad insistere per ottenere la riscossione del credito anche dalla madre che vive con un bimbo di 12 anni». E «i soggetti coinvolti come vittime hanno a priori paura di ricorrere alle forze dell’ordine», anzi «solo con un vero e proprio terrore può spiegarsi perché» figlio e padre usurati, «siano addirittura fuggiti in Ecuador».