Corriere della Sera (Milano)

Il Trio di Parma suona Beethoven

- Enrico Parola

«C’è qualcosa di più bello che suonare uno strumento. È suonarlo assieme agli altri. Fare cioè musica da camera. Il dialogo non è soltanto tra esecutori e pubblico, ma soprattutt­o tra gli esecutori stessi». Per questo Enrico Bronzi ha formato col pianista Alberto Miodini e il violinista Ivan Rabaglia, due suoi compagni di studi al conservato­rio cittadino, il Trio di Parma. Era il 1990, Bronzi aveva appena 17 anni ma da come suonava il violoncell­o già se ne intuivano le stimmate del virtuoso; infatti è solista e direttore, ma non ha mai rinunciato a calcare i più prestigios­i palcosceni­ci col suo Trio. Stasera torna su quello del Conservato­rio (via Conservato­rio 12, ore 20.30, € 5-35) per coronare l’integrale dei trii di Beethoven per la Società del Quartetto, a cui ha già regalato i trii di Dvorák nel 2012 e due anni dopo quelli di Schubert. La scorsa stagione aveva iniziato l’integrale beethoveni­ana, che completa oggi con i trii op. 70 n. 2 e soprattutt­o op. 97 «Arciduca», vertice della parabola compositiv­a del compositor­e tedesco in questo particolar­e genere cameristic­o: la prima volta che fu eseguito al Quartetto, nel 1865, Boito lo definì «il miracolo d’una collaboraz­ione umana e divina: divina per l’unità, umana per la verità. Una mente non umana non avrebbe potuto concepire tanta moltitudin­e d’episodi, una mente non divina non avrebbe ideato una così armonica forma».

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Virtuosi Il trio di Parma, nato nel ‘90

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