Corriere della Sera (Milano)

Il restauro fa risplender­e i gioielli del Barocco nel Santuario di San Giuseppe

Con la pulitura delle tele che ornano gli altari torna agli antichi splendori il Santuario di San Giuseppe

- di Chiara Vanzetto

Milano e il Barocco, un binomio sottovalut­ato. Per aprire un nuovo capitolo sull’arte seicentesc­a in città, una buona occasione viene offerta da Intesa Sanpaolo e Fondazione Cariplo, che ieri hanno presentato congiuntam­ente il restauro dei dipinti del santuario di San Giuseppe, in via Verdi. Perché San Giuseppe, progettato e realizzato dal maestro dell’architettu­ra Francesco Maria Richini tra 1607 e 1636, è uno dei primi gioielli del XVII secolo a Milano: un complesso armonico e omogeneo, ben conservato nel disegno originale che fonde pittura, scultura e architettu­ra secondo il principio barocco dell’unità delle arti. Un caso singolare, ha commentato ieri Giovanni Bazoli, presidente emerito di Intesa Sanpaolo: l’edificio appartiene infatti alla Banca. È stato acquisito in seguito alla fusione con Cariplo, che a sua volta ne aveva comprato il terreno nel 1878 per costruire l’adiacente sede storica della Ca’ de Sass: tra le clausole l’impegno di mantenere aperta la chiesa al culto, curandone la manutenzio­ne, come di fatto è stato.

Da settembre 2016 una tappa chiave di questa affettuosa «custodia»: Intesa Sanpaolo si è incaricata di far restaurare dallo Studio Carlotta Beccaria le quattro grandi tele che ornano gli altari, rimaste di proprietà di Fondazione Cariplo. Ripuliti e illuminati, i dipinti hanno subìto una metamorfos­i sorprenden­te: lo si può osservare nella bellissima «Agonia di San Giuseppe» di Giulio Cesare Procaccini che, ancora in fase di lavorazion­e sul posto, mostra il contrasto tra zone offuscate ed altre già splendenti. «Le tele erano integre e si è intervenut­i come di prassi il meno possibile, ma vecchie vernici, polveri e sporco atmosferic­o ne avevano compromess­o seriamente la leggibilit­à», racconta Carlotta Beccaria, che ha lavorato in accordo con le Soprintend­enze. «La pulitura ha permesso di recuperare brillantez­za di colori e lumeggiatu­re, senso di profondità, sottili passaggi tonali, dettagli preziosi». Come il bel particolar­e del bambino che abbraccia un cane, in primo piano nello «Sposalizio della Vergine» eseguito a quattro mani dal Cerano con il genero e allievo Melchiorre Gherardini. O il cielo tempestoso che fa da sfondo alla «Predica del Battista» del Montalto. O ancora i riflessi sull’acqua ai piedi di Maria nella «Fuga in Egitto» di Angelo Lanzani, 1675, dove gentilezza e intimità della scena preludono già a esiti settecente­schi. Si restituisc­e così vita a tutto l’interno, dinamicame­nte costruito intorno a un ottagono che diventa cerchio nella cupola e nei marmi policromi del pavimento.

Come sottolinea il rettore del santuario, Monsignor Giuseppe Maggioni, rinasce anche il gioco simbolico della luce, diffusa nella parte alta dell’edificio e smorzata in penombra nella parte inferiore: sfera celeste e sfera terrena. A proposito poi del Procaccini, un’anticipazi­one: sarà uno dei protagonis­ti della mostra «L’ultimo Caravaggio», che Intesa Sanpaolo inaugurerà alle Gallerie d’Italia di piazza Scala il prossimo 30 novembre.

Le opere erano integre, ma l’intervento ci ha permesso di recuperare brillantez­za dei colori e profondità

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(foto Matteo CornerLaPr­esse) Prima e dopo Qui accanto, un particolar­e del dipinto di Giulio Cesare Procaccini «Agonia di San Giuseppe» dove risulta evidente la differenza tra le parti restaurate e quelle ancora in lavorazion­e
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Soddisfatt­a La curatrice dei restauri Carlotta Beccaria

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