Corriere della Sera (Milano)

Sospetti terroristi, record di espulsi

Storia di Hassam, entrato a San Vittore come detenuto comune e allontanat­o da «radicalizz­ato»

- di Gianni Santucci

Ahmed Hassam Rakha è uno spacciator­e egiziano uscito di cella come «detenuto a rischio di proselitis­mo e radicalizz­azione violenta», e rimpatriat­o. Rakha «aiuta» a capire le dinamiche della maggiore arma di prevenzion­e del terrorismo: in meno di tre anni le espulsioni di fiancheggi­atori sono state 224; quasi un quarto viveva in Lombardia e la maggioranz­a a Milano. Branca: «Più prevenzion­e».

Ahmed Hassam Rakha, 31 anni, egiziano, è entrato a San Vittore il 15 giugno 2015 perché spacciava cocaina. Ed è uscito dal carcere di Bollate, tre giorni fa, come «detenuto a rischio di proselitis­mo e radicalizz­azione violenta». Scortato a Malpensa dalla polizia, è stato imbarcato su un volo diretto al Cairo.

La storia di Hassam Rakha, che il Corriere può ricostruir­e in esclusiva in tutti i suoi passaggi, è emblematic­a per un paio di aspetti. Da una parte, mostra la parabola di un pusher che si avvicina all’Islam radicale in carcere; dall’altra, permette di capire come funzionano gli ingranaggi della più importante arma di prevenzion­e del terrorismo messa in campo dall’Italia negli ultimi tre anni: il rimpatrio dei «soggetti a rischio».

Il sistema

Un sistema che a Milano ha raggiunto la sua massima potenziali­tà. Per spiegare come funziona, prima di raccontare la storia di Hassam Rakha, bisogna aggiornare il quadro sulle espulsioni.

Il primo canale è quello dei rimpatri «decretati» direttamen­te dal ministero degli Interni «per motivi di sicurezza dello Stato»: in quest’ambito, in tutta Italia, le espulsioni di «fiancheggi­atori» o sostenitor­i del terrorismo sono state 66 nel 2015, 66 nel 2016 e 92 nel 2017. In totale, 224 in meno di tre anni: quasi un quarto degli espulsi (48) vivevano in Lombardia e la maggioranz­a (22) a Milano, prima città in Italia per islamisti allontanat­i.

Poi ci sono le espulsioni della Questura. Si tratta di persone che rispondono a due requisiti chiave: non sono in regola con i documenti e hanno un profilo di «pericolosi­tà sociale» (molti hanno precedenti penali). L’Ufficio immigrazio­ne della Questura di Milano ha in assoluto la più alta efficienza nella gestione di queste pratiche: 296 rimpatri nel 2015, saliti a 762 nel 2016 e arrivati a 823 a settembre 2017 (ultimo dato ufficiale, a oggi dovrebbero essere più di mille).

Sotto sorveglian­za Sono 365 i reclusi attenziona­ti: 165 hanno condanne per reati di terrorismo internazio­nale

Numeri superiori al totale delle espulsioni fatte in tutto il resto d’Italia. Solo in una porzione ridotta di questi casi la «pericolosi­tà sociale» ha a che fare col terrorismo, ma almeno una dozzina tra i quasi mille espulsi del 2017 rientra nel rischio radicalizz­azione. E tra questi c’era Hassam Rakha, in Italia da dieci anni.

«Terzo livello»

Il ragazzo egiziano viene arrestato a metà 2015 e, in primo grado, viene condannato a tre anni e quattro mesi. Sentenza confermata in Appello (marzo 2016) e poi in Cassazione (novembre 2016). Fino al momento dell’arresto l’uomo, che aveva anche vissuto nel palazzo di viale Bligny 42, noto in passato come base di piccolo spaccio, non era mai stato neppure sfiorato da indagini o sospetti dell’antiterror­ismo. Quando entra a San Vittore, e viene chiamato in Tribunale per la prima condanna, è sempliceme­nte un «detenuto comune». Col passare dei mesi, però, si sviluppano due percorsi paralleli.

Da una parte, il magistrato di sorveglian­za (a maggio 2017) ordina la sua espulsione come «pena alternativ­a alla detenzione». Un provvedime­nto al quale il detenuto fa opposizion­e. In parallelo però, in carcere, il nome di Hassam

Rakha entra nel radar del Nucleo investigat­ivo centrale della Polizia penitenzia­ria, che si occupa di monitorare la radicalizz­azione. Stando all’ultimo rapporto del ministero della Giustizia, a fine 2016 nei penitenzia­ri italiani c’erano 165 detenuti di «primo livello» (condannati per reati di terrorismo internazio­nale), 76 di «secondo livello» (che hanno manifestat­o in forma esplicita adesione all’ideologia jihadista) e 124 di «terzo livello» (segnalati e sotto osservazio­ne perché a rischio estremismo religioso). A metà 2017 il pusher egiziano viene inserito in quest’ultimo gruppo. E poco dopo, fine ottobre 2017, la sua opposizion­e

al rimpatrio viene bocciata. A questo punto i due percorsi si incrociano.

Dieci giorni fa il carcere di Bollate trasmette dunque i documenti su un «soggetto» che può essere espulso come «detenuto comune», ma che nel frattempo è entrato in un’area di radicalism­o religioso in carcere. Il fascicolo torna così all’Ufficio immigrazio­ne della Questura. Che in un paio di giorni organizza il rimpatrio. La regia dell’espulsione è l’ultima fase della strategia di prevenzion­e del terrorismo.

La fede Dei 18 mila individui dietro le sbarre il 42 per cento è musulmano praticante

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Vaprio d’Adda Aftab Farook espulso nel 2016
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Monza Omar Makram espulso nel 2017
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Pozzo d’Adda Bledar Ibrahimi espulso nel 2016

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