La stessa partita giocata da 40 anni
Affori, ogni sabato rossi e blu si sfidano da tre generazioni. Saltato un solo match per neve
In via Assietta, ad Affori, da 40 anni ogni sabato mattina si gioca la stessa partita di calcio: rossi contro blu. «Solo una volta non siamo scesi in campo, nel gennaio 1985 per la neve». È un match che si tramanda dai nonni ai nipoti passando per i padri. Anche se, sulla fascia sinistra, gioca ancora il decano classe 1935. È una storia di calcio minore, molto minore. Ma è anche una storia di Milano profonda.
«Se nevica, si spala». Un paio d’anni fa, la neve s’era ghiacciata. «E noi abbiamo spaccato il ghiaccio». Si giocano 36-38 partite a stagione. «Come minimo». Giancarlo Antonelli, anni 73, detto el buitre (per la cattiveria sotto porta, appena offuscata dall’età) rivendica: «Qua di partite ne abbiamo saltata una sola. L’anno di quella nevicata terribile». Fine gennaio 1985. Per il resto, sempre in campo. Rossi contro blu (che nella maglia estiva sono bianchi). Freddo, fango, pioggia e nebbia. Caldo, secco, sole e orde di moscerini autunnali (che finiscono in gola quando qualcuno si ferma col fiatone). Sabato, ogni maledetto sabato, ore 10, circolo Arci «Grossoni» di via Assietta, Affori: qua si gioca da quarant’anni la stessa partita. «Il gruppo l’abbiamo fondato, conservato, coltivato, tenuto insieme fino a oggi», racconta uno degli «storici», Gigi Tortato. «Perché il gruppo è sacro. Non esagero» (va preso sul serio, perché per giocare, spesso, è partito all’alba dalla Svizzera). Storia di calcio minore: molto minore, se vogliamo. Ma è anche una storia di Milano profonda.
Perché tutto inizia con la Montedison. Quando Milano era città industriale. E i «dopo lavoro» erano comunità vere, affiatate. Il « dopo lavoro » Montedison organizzava tornei aziendali tra funzioni e stabilimenti del gruppo: meccanografici, resine, polimeri, Carlo Erba, Farmitalia, Technimont. Anni Settanta. «Poi pian piano tutta questa organizzazione è andata scemando», ricorda Antonelli, che in Montecatini ha lavorato dal 1962, prima della grande fusione con Edison. Di fatto, tutti i dipendenti rimasti, e che volevano continuare, «scremati dalle varie squadre», hanno creato il gruppo. Rossi contro blu è nata così. Fondatore: Giuseppe Castiglioni. E Daniele Boezio: ora in campo c’è il figlio Stefano, centravanti dei rossi.
Perché giocavano (e in qualche caso giocano ancora) i padri. Poi i padri hanno iniziato a schierare i figli («famiglie» Pirozzi, Carra, Centamore). In qualche caso s’arriva alla terza generazione: i nipoti. «Il sabato abbiamo sempre fatto correre il pallone e le dinastie delle persone». Come la «dinastia» dei Brasca: Luciano (nonn o / a r b i t r o ) , Stefano (padre/centrocampista), Edoardo (figlio, a tutto campo, presenza incostante). Il nucleo storico ex Montedison (con Giorgio Belluzzo, Vittorio Bressan e Paolo Romei) col tempo s’è aperto agli «invitati». La selezione «all’ingresso» è feroce: «Più umana che calcistica — racconta Antonelli — devono essere ragazzi educati, appassionati, perbene. In campo sudore e offese ci stanno, ma la sostanza delle persone è quella che conta».
L’«invitato» più celebre è anche il decano, Mario Piva, 82 anni, terzino destro: dalla sua parte spesso i 30/ 40enni esplodono in imprecazioni furibonde. Ha tempismo, il Piva, senso della posizione. Anticipa, rinvia e sorride beffardo. Il resto è un rosario di soprannomi che vengono urlati mille volte ogni partita: il tigre (uomo che non conosce fatica), tambu, pappa e salva (faticatori di centrocampo), umma (lo Yaya Touré «bianco»), colo e uelo (attaccanti/organizzatori), anto: miglior piede del campaccio. Ecco, il campo: un tempo era un manto d’erba che la mitologia ricorda «fantastico», quando il «dopo lavoro» Montedison aveva una splendida sede. Sempre in via Assietta, di fronte all’Arci, era la donazione di un conte, vincolata per i lavoratori. Nonostante questo, a inizio anni Novanta venne venduta (oggi c’è il «Quanta village») e ancora oggi, tra rossi e blu, si racconta a mezza voce che quella cessione resta «avvolta nell’ombra».