Io, disabile, insultata per il posteggio
«Cosa vuoi? Sto lavorando...». Cronaca di una giornata di ordinaria prepotenza
Il buongiorno si vede dal mattino, e il lunedì è sempre più difficile. Lunedì scorso, però, la giornata era cominciata col piede giusto: poco traffico e radio a tutto volume, per sfidare la foschia. Destinazione polo della Comunicazione della Statale. Io studio lì, al Master in giornalismo «Walter Tobagi». Tutto fila liscio fino a quando non arrivo in via Adamello, la linea di confine tra Sesto e Milano.
Devo trovare parcheggio. Cammino con una stampella per via di un handicap, quindi punto dritta ai posteggi disabili vicino all’ingresso dell’Università. Tre su quattro sono occupati da auto con il contrassegno azzurro ben in vista. Sull’ultimo, però, è fermo il furgone di un fornitore dell’azienda accanto, che scarica materiale. Abbasso il finestrino e indico il mio contrassegno. «Cosa vuoi? Ci sono qui io», risponde. Gli faccio notare che è su un parcheggio disabili, si sa mai che si sia confuso: lo stallo per carico e scarico è poco distante. «Io sto lavorando», controbatte. Provo a ripetere che si trova dove non dovrebbe stare, ma lui mi ignora. Suono il clacson. Come per magia i fornitori si moltiplicano: in due accorrono a supportare il collega, mai sia che venga disturbato mentre svolge il suo dovere. Due omoni ben piazzati, sulla quarantina. Rinforzi giustificati, una ragazza di 50 chili alla guida di una Panda mette paura. «C…o vuoi? Stiamo lavorando», intonano in coro, per concludere con «aspetta, stronza». Ho aspettato, e dopo un quarto d’ora ho parcheggiato dove dovevo. Scesa dall’auto, ho augurato loro di non avere mai davvero bisogno di quel posteggio riservato. Nessuna risposta. Per qualche giorno ho evitato quella zona. Quando ci sono tornata, c’era ancora il primo fornitore. Mi ha riconosciuto e ha sbuffato, di nuovo: «Ma io sto lavorando». Poi, però, si è spostato col furgone un po’ più indietro. Aveva la faccia di chi è convinto che ti sta facendo un favore. «Un giornalista professionista non scrive mai in prima persona, a meno che non abbia trent’anni di carriera alle spalle o non stia raccontando un’esperienza più unica che rara». È un mantra, alla scuola di giornalismo. Io per ora sono ancora praticante, trent’anni non li ho nemmeno all’anagrafe e non sto scrivendo di un episodio raro, temo. Ma forse per questo dev’essere raccontato così. È la cronaca di un lunedì mattina in Italia. Un lunedì che capita a tanti, troppi.