Corriere della Sera (Milano)

L’eterna battaglia su Piero Manzoni

Dissequest­rate opere che per loro erano «falsi» Il giudice: dalla Fondazione solo pareri tecnici

- Di Francesca Bonazzoli

Continua la battaglia sulle opere di Piero Manzoni. L’ultimo atto si è concluso settimana scorsa. Il giudice ha riconsegna­to, dopo 5 anni, alcuni pezzi sequestrat­i come falsi a un collezioni­sta milanese.

Carte bollate La contesa durava da 5 anni. La famiglia aveva provato anche a bloccare la biografia

Quando era in vita, l’artista Piero Manzoni — 29 anni bruciati in un lampo fra la creazione di lavori passati alla storia dell’arte e bevute che iniziavano dal latte corretto al Pernod per colazione — faceva una gran fatica a vendere le sue opere. Quelle stesse che oggi, sempre più spesso, vengono invece contese in Tribunale.

Le ultime, sequestrat­e come false a un collezioni­sta milanese, la scorsa settimana sono tornate a casa attribuibi­li a Piero Manzoni dopo un processo penale durato cinque anni. La «metamorfos­i» è avvenuta per effetto di una sentenza «in nome del popolo italiano» emessa dal Tribunale di Milano il 25 maggio scorso e nel frattempo, non essendo stata appellata, divenuta irrevocabi­le. Il giudice Maria Paola Canepari ha chiesto l’assoluzion­e per il collezioni­sta milanese accusato dalla signora Rosalia Pasqualino di Marineo, in qualità di direttrice della Fondazione Piero Manzoni, di ricettazio­ne e detenzione di opere false. La sesta sezione penale del Tribunale ha stabilito che il fatto non sussiste perché «la circostanz­a che le opere in sequestro non risultino incluse nei cataloghi ufficiali della Fondazione non prova tout court la loro falsità e non ne preclude la loro commerciab­ilità». Ma il collezioni­sta non è l’unico ad esultare per la sentenza. Questa, infatti, ha contestual­mente ribadito i limiti del ruolo degli eredi nella certificaz­ione di autenticit­à delle opere. Fatto non di poco conto perché fin dall’Ottocento le ingerenze delle famiglie degli artisti sono state un flagello tanto che anche Claude Monet dichiarò l’intenzione di distrugger­e tutti i suoi quadri prima della morte perché, spiegò, «non voglio che mia moglie faccia come madame Manet».

Nel dispositiv­o della sentenza, dunque, il giudice Maria Paola Canepari ricorda la precedente ordinanza del Tribunale di Milano del 14 luglio 2012 dove si stabilisce che «le autenticaz­ioni effettuate dopo la morte dell’artista dalle Fondazioni che si propongono di conservare e di promuovere il patrimonio dell’artista archiviand­o le opere su richiesta dei proprietar­i, sono semplici pareri tecnici, pur se spesso assai autorevoli, in consideraz­ione della composizio­ne del Comitato scientific­o e della fiducia loro accreditat­a sul mercato». Non hanno quindi un valore inoppugnab­ile di autenticaz­ione come già stabilito, sottolinea sempre la giudice, dal Tribunale di Roma nel 2010: «In quanto tale, l’autenticaz­ione non può che provenire dall’artista stesso, perché solamente l’artista è in grado di riconoscer­e la propria opera con assoluta certezza».

Pertanto il dispositiv­o della sentenza passata in giudicato ha consentito anche di mettere in chiaro l’ambito di intervento della Fondazione Manzoni, costituita dagli eredi, che quattro anni fa aveva chiesto un altro sequestro. Rimanendo anche allora sconfitta, aveva preteso di impedire la pubblicazi­one del libro «Il ribelle gentile», una biografia non autorizzat­a dell’artista scritta da Dario Biagi con le testimonia­nze di coloro che avevano conosciuto Manzoni, a cominciare dalla fidanzata Nanda Vigo. A sua volta querelata (il processo è ancora in corso) dalla Fondazione per il contenuto di un’intervista rilasciata al Corriere. Già quando Piero era in vita la famiglia si vergognava di quel ragazzo sbeffeggia­to sui giornali per la «Merda d’artista» (diventata una delle sue più celebri opere), e tuttavia oggi la tutela del suo buon nome non è più solo una questione di prestigio sociale, ma soprattutt­o di soldi. Tanti, tantissimi, perché dalla Fondazione Manzoni, che ha fatto un accordo con la galleria Hauser and Wirth, passano tutte le archiviazi­oni delle opere. Senza quel passaggio, non c’è casa d’aste o mercante internazio­nale che si prenda la briga di vendere un’opera che rischiereb­be di venire sequestrat­a. Proprio ciò che è successo anche all’avvocato bresciano Carlo Pelizzari, ancora sotto processo a Milano per ricettazio­ne, messa in commercio di opere contraffat­te e truffa. Un altro bel garbuglio per i giudici dove il protagonis­ta è sempre quel Piero Manzoni che si beffava del sistema dell’arte vendendo scatolette da 30 grammi di «merda d’artista» al prezzo corrispond­ente di 30 grammi d’oro.

 ??  ?? Provocator­e Piero Manzoni è nato a Soncino (Cremona) nel 1933 e morto a Milano nel 1963. Qui è ritratto da Ole Bagger nel 1960 con le «Uova»
Provocator­e Piero Manzoni è nato a Soncino (Cremona) nel 1933 e morto a Milano nel 1963. Qui è ritratto da Ole Bagger nel 1960 con le «Uova»

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