Il quartiere che fa scuola
Cinema, orti botanici e officine Le lezioni senza zaini né cattedre «Così rinnoviamo la didattica»
Abbattere i muri della scuola e lasciare che i ragazzi imparino dalla città. Il panettiere, il meccanico, l’ortolano diventano così insegnanti e i prof si trasformano in mentori. Dare vita a un «Quartiere educante» per riportare i bambini in mezzo alla società. È il progetto che Paolo Mottana, docente di Pedagogia alla Bicocca, prova a concretizzare. «Sto lavorando con alcuni collaboratori a Milano, all’istituto Capponi, e in Brianza — dice —. Serve una rete sul territorio. È un’idea che fa bene a tutti e può combattere anche il bullismo, molto legato alla reclusione in aula». La sperimentazione deve ricevere l’ok del Ministero. Se tutte le carte saranno in regola, le prime lezioni «fuori classe» potrebbero partire già dal prossimo anno scolastico.
Il «Quartiere educante» è solo una delle proposte didattiche nel panorama milanese. Le scuole pubbliche del primo ciclo, ovvero per gli alunni fino ai 14 anni, sono in fermento. Dal 2012 l’indicazione del governo è: puntare sulle competenze, non sui concetti. Eliminare via via la divisione per materie, giocare di squadra per sviluppare capacità utili nella quotidianità. In cinque anni la rivoluzione ha toccato buona parte degli istituti meneghini. Secondo un’indagine del provveditorato 94 scuole su 112 intervistate propongono lezioni per competenze, pratica consolidata in 16 casi. Solo dodici plessi rimangono ancorati ai vecchi modelli. Cambiano anche le verifiche, sempre più pratiche (in 78 scuole) a cui si affiancano test tradizionali.
«Si parte da quello che i bambini sanno già per arrivare ad abilità superiori» spiega Stefano Merlo. È il coordinatore di Copereco, un network di cinque istituti tra Corsico, Basiglio e Cesano Boscone che sforna progetti innovativi. Qualche esempio? Per studiare il pittore Marc Chagall le maestre propongono un puzzle con le opere dell’artista. Poi i bambini reinterpretano i quadri e infine la visita didattica al museo. Ovviamente organizzata dagli alunni. «I vantaggi? Si impara a confrontarsi con problemi reali. Ma resta molto da fare per formare gli insegnanti».
È il compito, tra gli altri, del Cremit. Il centro di ricerca dell’università Cattolica studia l’educazione ai media e all’informazione e ha «brevettato» gli Eas, episodi di apprendimento situato. Ovvero esperienze incarnate per far sì che gli studenti imparino facendo, e solo in un secondo momento ritornino alla teoria. Da questo mese a Sesto San Giovanni sono iniziati i corsi per i docenti che applicano subito le novità in classe. «È la prima volta che verifichiamo sul campo il modello — spiega la ricercatrice Alessandra Carenzio —. Gli insegnanti fanno comunità e si scambiano materiali».
Quasi un ossimoro invece la Scuola senza zaino, attiva in sei poli nel Milanese. La Capponi, affamata di innovazione, è l’ultima a essersi unita alla rete partita dalla Toscana nel 2002. Gli alunni trovano già in aula i materiali, si siedono ai tavoli in gruppo, si aiutano a vicenda. Abolita la cattedra delle maestre. La responsabile lombarda, Daniela Pampaloni, elenca i pilastri dell’idea: «Sviluppo delle responsabilità, ambienti ospitali, interazione». E da poco è tornato in auge il metodo Montessori, nato quasi un secolo fa. Tra le linee guida gli spazi curati, la scelta di assecondare gli interessi del bambino. Sono decine le scuole milanesi che lo propongono (solo una fino a poco fa) e almeno 60 maestri stanno studiando per adottarlo. «Una crescita esponenziale — dice Monica Guerra, pedagogista della Bicocca — motivata dalla maggior consapevolezza dei genitori e dall’esigenza di cambiamento degli insegnanti».