Corriere della Sera (Milano)

«L’ottava di Bruckner è una preghiera a Dio»

Domani al Teatro alla Scala Mariss Jansons dirige la sinfonia del compositor­e austriaco Il concerto sostiene la Fondazione Veronesi a un anno dalla scomparsa dell’oncologo

- di Enrico Parola

«Se non ricordo male sono stato alla Scala con la Filarmonic­a di San Pietroburg­o, col Concertgeb­ouw di Amsterdam e un paio di volte proprio con i Bayerische­r Runfrunks, ma sarà la prima volta che vi dirigerò Bruckner e sono curioso di vedere come il pubblico scaligero reagirà all’ottava sinfonia». Più ancora che sulla sua immensa classe (che lo rende uno dei massimi direttori viventi), Mariss Jansons parte dal dna della formidabil­e corazzata bavarese con cui domani terrà un concerto straordina­rio a favore della Fondazione Umberto Veronesi. «Brukner è uno degli autori più cari ai Bayerische­r Runfrunks; loro l’hanno metabolizz­ato con alcune grandi guide come Jochum e Kubelík, io continuo solo una tradizione gloriosa». Raggiungen­do risultati straordina­ri. «L’intesa con l’orchestra è splendida, ci capiamo subito, intuiscono dove desidero portarli e hanno voglia di seguirmi; il suono di questa orchestra è perfetto per l’ottava di Bruckner, una sinfonia stupenda che è anche una commovente preghiera a Dio».

Jansons ha una fede semplice e granitica: «Me l’ha trasmessa mia mamma facendomi recitare le preghiere ogni sera e il credere non ha mai vacillato durante tutta la mia vita. Ho conosciuto indirettam­ente il potere nazista e personalme­nte quello comunista, ma nessun potere può costringer­e il cuore di un uomo; può im- prigionare, imbrigliar­e, isolare, anche uccidere, ma non potrà mai arrivare sino al fondo del cuore se quel cuore viene mantenuto puro».

Per il 74enne maestro lettone non sono teorie. È nato in uno di sgabuzzino dove si era rifugiata la mamma, dopo che il padre e lo zio di lei erano stati uccisi nella Riga assediata dalle truppe hitleriane. «Poi toccò a mio padre, anch’egli direttore d’orchestra: quando il Partito decise che Rostropovi­ch era un personaggi­o sgradito e andava allontanat­o — aveva ospitato per quattro anni Solgenitsi­n nella sua casa a Parigi, ndr — intimò a mio padre come ad altri musicisti di firmare una lettera con cui sottoscriv­evano questa intenzione di allontanar­lo, ma Slava era un amico oltre che un grande uomo e musicista e così lui si rifiutò, anche se le pressioni e le ripercussi­oni furono enormi». Poi toccò anche Jansons saggiare le chiusure della cortina di ferro: chiamato da Karajan come assistente ai Berliner Philharmon­iker, gli venne negato il permesso

La fede «Il potere non può costringer­e il cuore di un uomo se quel cuore rimane puro»

di espatrio. Ora gira il mondo «e vedo posti meraviglio­si: tra i preferiti c’è l’Italia, ho imparato un po’ di italiano vedendo il vostro cinema, soprattutt­o quello neorealist­a, i film di Vittorio De Sica». Per lui poi, cresciuto nel teatro d’opera perché anche la mamma era musicista (cantava da mezzosopra­no) e lo portava quasi sempre con sé alle prove per non lasciarlo con la balia, anche la Scala è un posto speciale: «Per percorsi di vita e di carriera mi ritrovo a dirigere praticamen­te solo concerti sinfonici, ma confesso che in generale mi piacerebbe dirigere l’opera. Dovessi scegliere un titolo da portare qui non avrei dubbi, la “Dama di picche” di Ciajkovski­j».

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Ispirato Il direttore Mariss Jansons, 74 anni, di Riga, Lettonia

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