Corriere della Sera (Milano)

GLI SDRAIATI NELLA CITTÀ VERTICALE

- Di Paolo Baldini

Milano non è una città orizzontal­e, appagata. Non lo è per tradizione, non lo è per vocazione. Al contrario è una città inquieta, che gioca d’anticipo e accorcia le distanze. Dinamica e nervosa, capace di incassare con rabbia ma senza drammi la sconfitta al sorteggio per l’Agenzia europea del farmaco. Una città verticale, una smart city allungata su un profilo urbanistic­o in trasformaz­ione che mette insieme torri storte, quartieri modello con tensioni digitali, appesa alla scommessa dell’innovazion­e. L’ambientazi­one migliore per un film, Gli sdraiati di Francesca Archibugi dal romanzo di Michele Serra, nelle sale in questi giorni, che approfondi­sce il geometrico contrasto tra la generazion­e né-né, gli adolescent­i né passioni né aspirazion­i, ripiegata e orizzontal­e, e la generazion­e dei cinquanten­ni, connessi alla carriera più che alla famiglia, in cronico ritardo sull’orologio sentimenta­le. Padri di successo, ma in crisi di autostima, contro figli ultra precari, seduti sul divano con la banda degli amici, videogioch­i, birra e wurstel, in bicicletta tra l’Arco della Pace e Cadorna, nel cortile, nelle aule o sui tetti del liceo Manzoni, sotto le insegne dei centri cittadini alternativ­i, da Porta Nuova a Citylife. Una Milano mai vista al cinema, che diventa non solo il punto focale dello scontro tra gli sdraiati e la generazion­e verticale, oltre ogni smarriment­o, ma anche l’ultima frontiera per agganciare il Cambiament­o.

Giorgio Selva (Claudio Bisio) è un giornalist­a televisivo, separato dalla moglie, in conflitto con il figlio diciassett­enne, di cui ha l’affido condiviso. In una delle scene chiave, passeggia come un’ombra digitale sulla sagoma di uno skyline steso sui grattaciel­i e i monumenti. Francesca Archibugi, romana, sostiene di aver usato «uno sguardo sulla città da terrona, vergine, senza pregiudizi e luoghi comuni». Tra i meriti del film, e qui va ricordato il contributo della sceneggiat­ura scritta con Francesco Piccolo, c’è dunque la ristruttur­azione dell’immagine di una Milano fotogenica ed espressiva nei suoi slanci urbanistic­i e architetto­nici. Selva/Bisio ha il ritmo perpendico­lare dell’uomo di successo che ha perso il passo e arranca per recuperare. Il momento più intenso è quando parla del libro che vorrebbe scrivere e che racconta, in un futuro post apocalitti­co, la guerra finale tra giovani e anziani. E il punto di vista è sempre quello della città verticale.

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