Tende e baracche nell’ex fabbrica A Monza l’hotel dei disperati fa il tutto esaurito
La Diefenbach rifugio per 100 persone
MONZA All’ingresso, nell’ampio corridoio centrale, c’è solo una casetta di legno. Una sorta di portineria, a guardia del «villaggio» che si estende per tutta la parte destra del capannone. Una fila ordinata di baracche di compensato, plastica e altri materiali di scarto per i più «fortunati», seguita da una serie di tende da campeggio, ognuna appoggiata su materassi più o meno lerci che le separano dal pavimento. Lo stesso panorama si apre anche nell’ala più lontana della ex Diefenbach di Via Borgazzi, periferia sud di Monza. Sgomberata a luglio e ora rioccupata da almeno un centinaio di Rom. Un tempo qui, dal 1907, si producevano frantoi, presse e filtri per l’olio. Poi è stata utilizzata, per un breve periodo, come parcheggio dei mezzi di una cooperativa sociale. Infine
la chiusura definitiva, l’abbandono e il degrado, copione ormai consueto nel panorama urbano della città, dove, come riportato dal Corriere a settembre, sono state censite 49 aree dismesse, per un totale di circa mezzo milione di chilometri quadrati in disuso, tra vecchi cascinali e stabilimenti industriali inattivi.
L’ultimo «trasloco», e il conseguente insediamento di nomadi della vecchia fabbrica Diefenbach, risale al 15 novembre. Un viavai incessante di persone che, attraverso i pezzi mancanti della recinzione divorata dalla ruggine, si passavano di mano in mano pannelli, lamiere e altri pezzi di quelle che sarebbero diventate le loro case, nell’indifferenza del traffico di via Borgazzi, la direttrice che collega il centro di Monza alla metropolitana di Sesto. Sono nomadi che girano in Bmw, Mercedes, o su vecchi furgoni, e che si spostano tra Cinisello Balsamo (dove sono stati allontanati dall’ex area Auchan), Monza, e Sesto San Giovanni. All’entrata, dopo aver superato un tappetto di rifiuti, un falò di legna arde sin dal mattino. A scaldarci ci sono un uomo e una donna. Lei ha il volto scavato e attraversato dalle rughe, lui parla solo romeno e sventola con una certa teatralità un blister di medicine. «È malato — dice la donna — non abbiamo altro posto dove stare, ci possono cacciare, ma prima o poi torniamo». Dopo il loro rifugio, la baraccopoli si allunga sotto il tetto del vecchio stabilimento, tra panni stesi, cucine di fortuna, immondizia e ragazzini che incalzano con incessanti richieste di soldi o vestiti.
Solo questa estate l’amministrazione di centrodestra di Dario Allevi, a pochi mesi dal suo insediamento, aveva mostrato l’approccio «muscolare» promesso in campagna elettorale sul tema di occupazioni e sicurezza. Polizia locale e personale della Questura avevano saldato i cancelli. Allora, peraltro, c’erano solo tende, e non la favela di oggi. Correva l’anno 2012, invece, quando, a proposito del futuro della malandata ex fabbrica si facevano grandi annunci, che ora fanno sorridere. All’epoca governava il centrodestra con leghista Marco Mariani. Nero su bianco, avvallato da parere favorevole del Comune, c’era il progetto per la costruzione di un albergo di 12 piani. Sessantamila metri cubi complessivi, con tanto di avveniristica torre ellittica, che sarebbe dovuta diventare una sorta di porta di ingresso a sud di Monza. Cinque anni dopo, albergo lo è diventata la Diefenbach, ma dei disperati.
In città Censite 49 aree dismesse per mezzo milione di chilometri quadrati