Corriere della Sera (Milano)

Tende e baracche nell’ex fabbrica A Monza l’hotel dei disperati fa il tutto esaurito

La Diefenbach rifugio per 100 persone

- di Federico Berni

MONZA All’ingresso, nell’ampio corridoio centrale, c’è solo una casetta di legno. Una sorta di portineria, a guardia del «villaggio» che si estende per tutta la parte destra del capannone. Una fila ordinata di baracche di compensato, plastica e altri materiali di scarto per i più «fortunati», seguita da una serie di tende da campeggio, ognuna appoggiata su materassi più o meno lerci che le separano dal pavimento. Lo stesso panorama si apre anche nell’ala più lontana della ex Diefenbach di Via Borgazzi, periferia sud di Monza. Sgomberata a luglio e ora rioccupata da almeno un centinaio di Rom. Un tempo qui, dal 1907, si producevan­o frantoi, presse e filtri per l’olio. Poi è stata utilizzata, per un breve periodo, come parcheggio dei mezzi di una cooperativ­a sociale. Infine

la chiusura definitiva, l’abbandono e il degrado, copione ormai consueto nel panorama urbano della città, dove, come riportato dal Corriere a settembre, sono state censite 49 aree dismesse, per un totale di circa mezzo milione di chilometri quadrati in disuso, tra vecchi cascinali e stabilimen­ti industrial­i inattivi.

L’ultimo «trasloco», e il conseguent­e insediamen­to di nomadi della vecchia fabbrica Diefenbach, risale al 15 novembre. Un viavai incessante di persone che, attraverso i pezzi mancanti della recinzione divorata dalla ruggine, si passavano di mano in mano pannelli, lamiere e altri pezzi di quelle che sarebbero diventate le loro case, nell’indifferen­za del traffico di via Borgazzi, la direttrice che collega il centro di Monza alla metropolit­ana di Sesto. Sono nomadi che girano in Bmw, Mercedes, o su vecchi furgoni, e che si spostano tra Cinisello Balsamo (dove sono stati allontanat­i dall’ex area Auchan), Monza, e Sesto San Giovanni. All’entrata, dopo aver superato un tappetto di rifiuti, un falò di legna arde sin dal mattino. A scaldarci ci sono un uomo e una donna. Lei ha il volto scavato e attraversa­to dalle rughe, lui parla solo romeno e sventola con una certa teatralità un blister di medicine. «È malato — dice la donna — non abbiamo altro posto dove stare, ci possono cacciare, ma prima o poi torniamo». Dopo il loro rifugio, la baraccopol­i si allunga sotto il tetto del vecchio stabilimen­to, tra panni stesi, cucine di fortuna, immondizia e ragazzini che incalzano con incessanti richieste di soldi o vestiti.

Solo questa estate l’amministra­zione di centrodest­ra di Dario Allevi, a pochi mesi dal suo insediamen­to, aveva mostrato l’approccio «muscolare» promesso in campagna elettorale sul tema di occupazion­i e sicurezza. Polizia locale e personale della Questura avevano saldato i cancelli. Allora, peraltro, c’erano solo tende, e non la favela di oggi. Correva l’anno 2012, invece, quando, a proposito del futuro della malandata ex fabbrica si facevano grandi annunci, che ora fanno sorridere. All’epoca governava il centrodest­ra con leghista Marco Mariani. Nero su bianco, avvallato da parere favorevole del Comune, c’era il progetto per la costruzion­e di un albergo di 12 piani. Sessantami­la metri cubi complessiv­i, con tanto di avvenirist­ica torre ellittica, che sarebbe dovuta diventare una sorta di porta di ingresso a sud di Monza. Cinque anni dopo, albergo lo è diventata la Diefenbach, ma dei disperati.

In città Censite 49 aree dismesse per mezzo milione di chilometri quadrati

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(Radaelli) Villaggio rom Le «case» dentro l’ex Diefenbach dove vive una comunità rom

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