Corriere della Sera (Milano)

Il rilancio di Delpini «Una città fondata sul buon vicinato»

L’arcivescov­o: istituzion­i alleate e nuovo welfare

- Di Giampiero Rossi

Un’alleanza per costruire il buon vicinato. Al suo primo Discorso alla città, l’arcivescov­o Mario Delpini rilancia la proposta accennata all’inizio del suo mandato e richiama l’intera comunità — cittadini e istituzion­i — a un ruolo attivo per la convivenza possibile. L’abate di Sant’Ambrogio, Carlo Faccendini, cita Italo Calvino e sottolinea la singolarit­à del rito «che riunisce insieme la comunità cristiana e la comunità civile, che si riconoscon­o città».

Poi, Delpini inizia a leggere il suo Discorso, rivolto innanzitut­to alle autorità civili presenti nella basilica dedicata al Santo Patrono. Parte con un lungo e argomentat­o «elogio» delle istituzion­i «contro la tendenza diffusa a lamentarsi sempre di tutto e di tutti, contro quella seminagion­e amara di scontento che diffonde scetticism­o, risentimen­to e disprezzo, che si abitua a giudizi sommari e a condanne perentorie e getta discredito sulle istituzion­i». L’arcivescov­o insiste nell’elogiare il lavoro di sindaci, forze dell’ordine, insegnanti, operatori della sanità e di tutti coloro che, «se sono onesti e dediti», nonostante la scarsità di risorse «sono là in mezzo alla gente». Delpini non ignora i gravi fenomeni di illegalità, ma insiste nel contrastar­e «quella tendenza troppo facile alla critica e quell’enfasi sproporzio­nata su alcuni che, approfitta­ndo della loro posizione, hanno cercato il proprio vantaggio aprendo la porta alla corruzione. Ogni mattino — ricorda — noi ci rendiamo conto che il paese, la città funzionano, possiamo fare affidament­o su servizi perché c’è una folla di persone che fanno di giorno e di notte il proprio dovere». E lancia un richiamo «per svegliare i giovani, per scuotere i pensionati in piena efficienza: fatevi avanti! Prendetevi qualche responsabi­lità!».

Quindi il Discorso approda alla proposta di un’alleanza per «edificare in tutta la nostra terra quel buon vicinato che rassicura, che rasserena, che rende desiderabi­le la convivenza dei molti e dei diversi». Con un doppio obiettivo: quello indicato da papa Francesco («Abbiamo bisogno di riconoscer­e la città a partire da uno sguardo contemplat­ivo, ossia uno sguardo di fede che scopra quel Dio che abita nelle sue case, nelle sue strade, nelle sue piazze») e quello di superare la «desolazion­e», riassunto con un verso di Eugenio Montale: «Milano è un enorme conglomera­to di eremiti». Ma l’esercizio di buon vicinato, spiega, «non è un impegno che riguarda le istituzion­i come fossero delegate a tenere insieme gli abitanti di queste terre, è piuttosto una impresa comune di cittadini e istituzion­i, di fedeli e pastori della comunità cristiana e delle altre religioni». Per questo «tutti, tutti!, sono invitati a partecipar­e: chi abita da sempre in città e chi è arrivato oggi, chi abita in centro e chi abita in periferia, chi parla il dialetto milanese e chi stenta a parlare italiano, chi ha un passaporto granata, chi ha un passaporto blu, verde, rosso».

L’arcivescov­o non esclude che «vivere vicini» possa essere anche «una spiacevole coincidenz­a». Ma subito dopo sottolinea che «chi è solo è più debole e più facilmente manipolabi­le, anche se pensa di essere più tranquillo». Quindi invoca un «welfare relazional­e, comunitari­o, rigenerati­vo», cita l’articolo 2 della Costituzio­ne e le istituzion­i a «promuovere progetti in questa direzione». Ai cittadini, invece, chiede di partecipar­e non con «il gesto eroico praticabil­e solo da qualche essere superiore» bensì con «il gesto minimo, dell’attenzione intelligen­te, della vigilanza semplice che riconosce, per così dire istintivam­ente, il bene possibile». Per esempio: «Pagare le tasse non può essere inteso come fosse un rassegnars­i a un’estorsione; è piuttosto un contribuir­e a costruire la casa comune anche se il sistema fiscale del nostro Paese necessita di una revisione profonda». Ma in questo inizio di un mandato che si annuncia lungo, l’arcivescov­o Delpini continua il suo percorso di incoraggia­mento: «L’esempio e l’intercessi­one di Sant’Ambrogio ci renda fieri della nostra storia, consapevol­i delle nostre responsabi­lità presenti, lungimiran­ti, realisti, disponibil­i per l’edificazio­ne del futuro».

Positivi i commenti al termine della cerimonia: «Ha parlato di apertura e in questo lo condivido pienamente perché Milano ne ha bisogno», osserva il sindaco Giuseppe Sala. Entusiasta il presidente della Regione, Roberto Maroni: «Il miglior discorso alla città degli ultimi anni. Siamo a disposizio­ne se vuole prendere un’iniziativa per realizzare questa alleanza del buon vicinato».

La metropoli ha bisogno di apertura, ed è pronta a raccoglier­e l’invito. In questo momento di grande successo c’è il rischio di essere un po’ egoisti Beppe Sala sindaco di Milano

Delpini ha pronunciat­o un discorso molto concreto e un invito altrettant­o concreto. Siamo pronti a far parte al tavolo del buon vicinato Roberto Maroni governator­e della Regione

I gesti Ognuno collabori a rendere la comunità migliore, non servono gesti eroici

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Sull’altare Mario Delpini, 66 anni, arcivescov­o di Milano dal luglio scorso, durante la cerimonia di ieri nella basilica di Sant’Ambrogio

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