Corriere della Sera (Milano)

L’ANTIDOTO AL RANCORE

- Di Massimo Franco

Usare la categoria dell’ottimismo per definire il «discorso alla Città» pronunciat­o ieri dall’arcivescov­o Mario Delpini nella basilica di Sant’Ambrogio significhe­rebbe banalizzar­lo. Dalle sue parole emerge piuttosto una profonda positività: una fiducia sincera in quello che Milano e i milanesi non solo fanno e rappresent­ano, ma possono fare. E l’aspetto intrigante è che non si tratta di impression­i provenient­i da una persona appena arrivata e estranea alla città, e dunque incline a una sorta di buona disposizio­ne d’ufficio. Delpini è un figlio della città. Non si stanca di percorrerl­a e di conoscerla sempre più a fondo. Supplisce con l’impegno capillare a un carisma e una leadership ancora tutte da esprimere e da proiettare all’esterno. L’idea del «buon vicinato» è una definizion­e felice e un antidoto alla società del rancore evocata dal Censis; e a quell’individual­ismo esasperato a causa del quale, ha ricordato l’arcivescov­o, il poeta Eugenio Montale descriveva Milano come «un enorme agglomerat­o di eremiti».

Oggi la capitale del Nord dell’Italia, e la più grande diocesi europea, è qualcosa che mescola varie identità e cerca di trasformar­le in elemento di forza e dinamismo. Ma tuttora, «eremi» ne esistono ancora. La stessa cultura dell’eremo non può ritenersi superata. Anzi, in certi fenomeni, in alcune chiusure, in una mancanza di coraggio che qui e là coinvolge anche la Chiesa, sembra quasi riproporsi come un modello. Ci sono isole di povertà e di emarginazi­one, ma anche sempliceme­nte eremi di solitudine, che attraversa­no Milano dal centro fino alle grandi periferie. Si tratta di realtà dove il «buon vicinato» è da costruire e quasi da inventare. Nella raffiguraz­ione positiva e senza spigoli di Delpini, questa città è presente ma come velata dalla voglia di armonia e di ricomposiz­ione della società milanese. Eppure, la missione del nuovo arcivescov­o, il suo anelito alla convivenza pacifica, inclusiva, rispettosa delle diversità, i suoi «grazie» ripetuti alle istituzion­i e alle realtà intermedie, aspettano segnali forti di verifica e di conferma. Se è vero che Milano è il punto di partenza della ricucitura del Papa argentino con un episcopato italiano disorienta­to e confuso, il compito di Delpini si presenta strategico e insieme difficile: soprattutt­o in una fase nella quale i problemi «di governo» di Francesco rischiano di aumentare, non diminuire.

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