Il «Cupolone» dell’Expo a Dubai ideato in un ufficio di via Porlezza «Sarà l’Albero della Vita del 2020»
Base in via Porlezza e progetti hi-tech Rimond costruirà l’arena simbolo dell’evento 2020
Una cupola alta 67,5 metri, in una piazza grande più di 13.000 metri quadrati. Sarà il cuore di Dubai 2020, l’Expo delle connessioni. E a costruire Al Wasl Plaza saranno degli italiani, gli unici al momento che parteciperanno alla realizzazione del sito della prossima Esposizione universale. Una joint venture tra le imprese Cimolai e Rimond (quest’ultima con quartier generale a Milano, in via Porlezza, e sedi a Roma, Abu Dhabi e a Shanghai). Un centro iconico, un progetto faraonico che peserà più di 2.265 tonnellate (l’equivalente di 500 elefanti), con uno spazio al chiuso di 724 mila metri cubi (la stessa grandezza di 290 piscine olimpioniche).
«Al Wasl Plaza è la Tour Eiffel del domani, un sito di aggregazione come l’Albero della Vita. Diventerà il simbolo dell’evento internazionale – spiega Giuseppe Antonio Chiarandà, ceo e fondatore Rimond —. Una mega cupola in cui saranno proiettate immagini e video all’interno e all’esterno. “Al wasl” è l’antico nome di Dubai e vuol dire connettere: la città in relazione con il mondo (il 70% della popolazione che ci vive è straniera e si trova in un posto geograficamente strategico). Infatti, il tema principale dell’Expo sarà “connecting minds”: unire popoli differenti, lingue e tecnologie. Tutti i visitatori entreranno dal “dome” per accedere ai diversi percorsi: “mobility”, “opportunity” e “sustainability”».
Gli architetti americani che hanno vinto la competizione internazionale per il progetto sono Adrian Smith (che ha realizzato anche la torre Burj Khalifa sul Golfo Persico, la struttura più alta del mondo con i suoi 829,8 metri) e Gordon Gill. «Ad Al Wasl Plaza si svolgerà la cerimonia di inaugurazione e si celebreranno le feste nazionali dei diversi Paesi — continua l’amministratore delegato —. Un simbolo in acciaio a vista e ricoperto da tessuti hi-tech, con 130 metri di diametro. Se si guarda dall’alto, l’intreccio dei tubi riproduce il logo dell’Esposizione: un anello ritrovato in uno scavo archeologico nei pressi di Dubai». «Sono eccitato e non vedo l’ora di vedere la colossale cupola prendere forma — rivela Ahmed Al Khatib, vicepresidente di Real Estate e Delivery Expo 2020 —. Sarà un innovativo segno di sviluppo umanistico. Siamo orgogliosi di collaborare con Cimolai Rimond Middle East con cui abbiamo già avuto un’ottima esperienza a Expo Milano».
Un lavoro chiave per Dubai, al quale ambivano grosse aziende internazionali: come siete riusciti a ottenerlo? «Abbiamo vinto la gara unendo l’esperienza e la conoscenza del territorio arabo di Cimolai alla dinamicità e alla motivazione di un gruppo giovane, quello Rimond — risponde Chiarandà —. La nostra strategia pone come obiettivo principale la ricerca e l’innovazione sui metodi di lavoro. Abbiamo sviluppato competenze in tutto il mondo che ci permettono di comprendere e rispettare le culture locali e portare “sapere” in ogni attività». Quando è iniziato il rapporto con gli Emirati Arabi Uniti? «È cresciuto col tempo — racconta —. La prima “avventura” nel 2015 con Expo Milano, quando ci hanno affidato la gestione della costruzione del loro padiglione, ideato dall’architetto e designer britannico, Norman Foster. Dopo ci hanno chiesto di smontare il padiglione nazionale per trasferirlo a Masdar City, centro che sorgerà entro il 2020 in pieno deserto, a pochi chilometri da Abu Dhabi, e sarà il primo al mondo a emissioni zero. Lo abbiamo smantellato, spedito con 220 container via nave e ora lo stiamo ricostruendo. Diventerà il Masdar Visitors Centre, sempre su progetto di Foster, un museo che spiegherà ai turisti la filosofia della città (coprirà una superficie di 640 ettari e consumerà il 75% di energia in meno: arriverà dal solare per l’80% e poi dall’eolico e dai rifiuti)».
Ma il sogno era lasciare un segno all’Expo di Dubai: «Un anno e mezzo fa ho incontrato Luigi Cimolai, un vero capitano — conclude Chiarandà —, e ci siamo associati in questa avventura alla loro azienda (con diversi lavori in giro per il mondo, 70 anni di esperienza e specializzata nella costruzione dell’acciaio, ndr). Così, è nata la Cimolai-Rimond Me General Contracting. L’Italia che fa sistema è vincente».