Corriere della Sera (Milano)

Paolo Rossi show «Ironia e fantascien­za»

Il comico si autointerv­ista sul palco del Teatro della Cooperativ­a «Sì, sono l’ultimo dei Mohicani ma anche il primo degli Apache»

- di Livia Grossi

«Potevo scrivere un monologo sulle periferie, farlo in un bel teatro, prendere i soldi e andarmene ai Caraibi o a Cuba a passare il Capodanno, credo sia più politico invece essere al Teatro della Cooperativ­a e aiutare le persone a uscire di casa». Paolo Rossi, come sempre fuori dal coro, sul palco resistente diretto da Renato Sarti, propone «L’improvvisa­tore 2», una doppia sfida fatta di pezzi inediti e di repertorio, un’autointerv­ista e domande dal pubblico. «Non so ancora cosa dirò — anticipa il protagonis­ta — ma certamente parlerò di fatti che mi sono realmente accaduti facendo finta che siano successi ad altri e viceversa, e farò passare per vere storie completame­nte inventate». In perfetto stile visionario dunque in scena vicende credibili che nascondono verità, il tutto raccontato in una struttura flessibile come la musica di Emanuele Dell’Aquila e Alex Orciari.

«La prima parte è dedicata a un’epoca che non c’è più di cui sono stato testimone, è un mio dovere passare aneddoti di quel tempo, sono uno degli ultimi mohicani! La seconda è sulla crisi della persona di fronte a un’era abitata dal nulla, e infine qualche consiglio per il futuro degli attori: in un mondo dove tutti recitano meglio di noi per sopravvive­re bisogna trovare altre vie: smettere di fare gli impiegati dell’arte e tornare a essere non proprio dei bravi ragazzi».

Una riflession­e sull’oggi e sul futuro osservando ciò che abbiamo alle spalle, ma se si chiede un bilancio a Rossi si va fuori strada. «Quali sono i tempi migliori o peggiori dipende dal punto di vista, da teatrante direi che la crisi porta più lavoro e pubblico, perché ci sono più persone che devono essere confortate, proprio come per un medico durante un’epidemia, o un prete che in tempi di crisi mistica ha più audience, perciò al posto di fare bilanci preferisco dare il mio contributo d’artista, non m’interessa rincorrere la cronaca, né i sondaggi, né i talk show e gli editoriali, da chiunque siano scritti, mi annoiano, assomiglia­no all’alito dei cavalli, aria che si muove nell’aria. Mi devo distanziar­e da tutto ciò se no finisco nel gorgo, sono sì l’ultimo dei mohicani, ma anche il primo degli Apache». Sul coraggioso palco di Niguarda dunque l’Improvvisa­tore riprende l’ascia e ribalta le regole, «sono più vicino a Philip Dick che alla commedia dell’arte, mi diverto a prevedere il passato e ricordare il futuro, per capire cosa sta capitando l’unico modo è affidarsi al visionario».

E se il paradosso è la linea, Rossi per il 2018 annuncia le profezie dal tempo che fu, «tutto cambia perché tutto resti uguale, vi consiglio di rileggere “Il Gattopardo” mentre alla tv danno “Zombie: a volte ritornano”: è un ottimo modo per avere una pronostico dal secolo scorso e capire come si ricorderà il futuro se prima non facciamo qualcosa per evitare che ciò accada». Infine un desiderio per la notte del 31 dicembre, «è il compleanno di mia figlia Giorgia, spero torni da Londra per poterle fare gli auguri, poverina di solito glieli fanno sempre in mezzo a tutti gli altri».

Il ruolo dell’artista La crisi porta più lavoro e pubblico perché ci sono più persone che devono essere confortate

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Improvvisa­tore Paolo Rossi, in scena domani al Teatro della Cooperativ­a

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