«Una scuola di cucina e di vita»
Fu una scuola incredibile, racconta Andrea Berton. «Valorizzò il mondo della cucina, prima il cuoco era un mestiere poco considerato».
IMarchesi boys. Li hanno sempre chiamati così. Quei sette o otto allievi, i più bravi di tutti, che sono riusciti ad andare avanti con le proprie gambe, aprire ristoranti (quasi tutti a Milano) e diventare a loro volta famosi. Cracco, Oldani, Knam, Leemann, Lopriore, Camanini. E Andrea Berton. Otto anni al suo fianco, prima come aiuto cuoco in via Bonvesin de la Riva, poi all’Albereta, in Franciacorta, come sous chef e poi chef. «A Marchesi devo davvero tutto», racconta lui oggi. «A Gualtiero mi presentai da giovane con la borsa in mano perché conoscevo un ragazzo che lavorava già lì. Marchesi mi vide e disse che potevo cominciare anche subito. Tanto se non fossi stato capace — continua —, me ne sarei dovuto andare». Ma Berton, classe 1970, nato a San Vito al Tagliamento (Pordenone), a Milano rimase. «La sua fu una scuola incredibile. Fu il primo che riuscì davvero a valorizzare il mondo della cucina. Prima di lui fare il cuoco era una professione poco considerata. Oggi, grazie a Marchesi, è cambiato tutto». Era esigente, il Maestro. «Lo era, ma nel modo più giusto. Era autorevole. E amava raccontare. Ho passato tantissime ore nel suo ufficio a notte fonda a parlare con lui al termine del servizio all’Albereta». L’insegnamento più grande? «Chi ama l’arte ama anche la cucina. Ecco perché i suoi piatti erano puliti, essenziali, come opere. Diceva che per valorizzare l’ingrediente bisognava togliere, non aggiungere. Oggi è scontato dirlo, lui fu il primo a farlo».