Un fotografo tra i Sassi di Matera Patellani sul set di «La Lupa» Ultimi giorni allo Spazio Oberdan
Fotografia Le immagini del reporter sul set de «La lupa» in mostra allo Spazio Oberdan
Achiudere i festeggiamenti per i settant’anni della Cineteca italiana è stata scelta una mostra fotografica che rievoca uno dei film meno popolari del suo co-fondatore Alberto Lattuada, «La lupa», ma che permetterà ai milanesi anche di (ri)scoprire il genio di uno dei suoi più grandi fotografi, Federico Patellani, che del cinema italiano del dopoguerra fu tra i grandi protagonisti. I due, il regista e il fotoreporter, erano amici e si frequentavano (Patellani fin dalla sua collaborazione con il settimanale «Tempo» aveva documentato il mondo del cinema italiano) ma non avevano mai avuto modo di lavorare insieme. L’occasione fu il progetto di un film che Carlo Ponti affidò a Lattuada per paura che Clemente Fracassi (chiamato per primo a lavorare sul soggetto) finisse per cadere nelle trappole della censura: si trattava infatti di portare sullo schermo «La Lupa» di Verga, storia di passione e gelosie tra una madre e una figlia che si contendono lo stesso uomo.
Il racconto era ambientato in Sicilia, ma Lattuada suggerì Matera: quei «paesaggi dalla bellezza dura, terribile… Mi sembravano l’ideale per ambientarvi una storia di passione come quella: quelle voragi- ni che sembravano spalancarsi sotto i piedi dei personaggi… Matera era l’inferno in terra». E chiamò Patellani per un primo sopralluogo. Anche il fotografo rimase colpito dalla città lucana: «Quando Patellani vide i Sassi — ricordò ancora Lattuada — rimase molto colpito anche lui. Stette zitto per un po’, girando per la città, apparentemente senza meta. Poi mi disse: “Ma sì, facciamolo a Matera ‘sto film”. Così io tornai a Roma a lavorare al film e lui rimase lì per tre mesi, a far riro cerca per gli esterni».
Quello che ne uscì, e che si può ammirare nel foyer dello Spazio Oberdan non è solo un normale lavoro di documentazione, di quelli che le produzioni utilizzano per individuare i luoghi di ripresa, ma un ve- e proprio saggio antropologico su una delle città più straordinarie d’Italia. Come poi scrisse lo stesso Lattuada «quella ricerca, quella testimonianza di un luogo che viveva senza tempo, o meglio sembrava appartenere a un tempo remoto, io la chiamo “la collezione Patellani” e bisognerebbe, un giorno o l’altro pubblicarla in volume».
Quello che ha appunto fatto Humboldt Books, pubblicando il catalogo di questa mostra dove l’intelligenza fotografica di Patellani si mescola alla forza e all’espressività di un mondo che (non dimentichiamo l’anno in cui sono state scattate quelle immagini, il 1953) sembra rimandare ad altre epoche e altri contesti. E non per la possibile «arretratezza» economica o sociale ma per l’emozione e l’energia che ogni immagine, ogni volto e ogni corpo sanno comunicare. Sotto l’obiettivo di Patellani, Matera sembra prendere vita e abbandona la cornice folcloristica in cui spesso la si è voluta rinchiudere per diventare l’immagine di un mondo bellissimo e drammatico insieme. Che il confronto con le più «composte» foto di scena scattate durante le riprese del film, anche loro in mostra, non fa che esaltare e amplificare.