IL MASTER È LA SCUOLA DI VITA
Mentre la buona scuola mette faticosamente a punto l’alternanza scuola-lavoro, la scuola normale viaggia sempre più spedita con l’alternanza bullismo-solidarietà. L’idea è antica come la saggezza umana: reinventare la tradizionale sospensione, massima punizione per il cretinismo dell’adolescenza in tutte le sue peggiori manifestazioni (bullismo, vandalismo, ribellismo), assegnandole l’ambizioso compito di rendere utili anche queste giornate, per troppo tempo vissute più o meno come una ricreazione supplementare. Non è una moderna riedizione dei lavori forzati: nessuno sfrutta nessuno. È una soluzione molto più alta e più nobile: si tratta di spostare l’esuberanza — definiamola pietosamente così — dei più esuberanti verso terminali molto particolari, come può esserlo un povero, un anziano, un disabile. A suo modo è utilità sociale. La sofferenza genera arte, diceva Tolstoj. E forse il segreto di questa alternanza bullismo-solidarietà, per quanto imposta, sta proprio nell’incontro ravvicinato del terzo tipo tra due mondi lontani: da una parte l’adolescente che ignora il lato doloroso della vita, dall’altra l’umanità che conosce solo quello. Se il ragazzino che spaccia, che fa il sadico sul compagno debole, che allaga le aule, che minaccia il professore, se questo tipetto che ride della nota sul registro va a sporcarsi le mani in trincea, almeno un effetto è garantito: finalmente, conosce un po’ di sana verità. Non sarà un master, ma anche questa è scuola. Scoprendo qualcosa degli altri, è inevitabile scoprire qualcosa di sé.