ALLE URNE PURCHÉ SPACCATI
Il bacino di voti su cui possono contare sinistra e centrosinistra in Lombardia non è mai stato grande. Eppure i candidati presidente di quest’area alle prossime Regionali saranno (se tutti riusciranno a raccogliere le firme) almeno tre. Sulla propensione antropologica, prima ancora che politica, della sinistra a dividersi sono stati versati fiumi di inchiostro, ma il caso lombardo, nel suo piccolo, fa scuola. Nel 2013, pur in condizioni politiche molto favorevoli — il lungo governo di Roberto Formigoni finiva in anticipo sotto il peso delle inchieste —, il centrosinistra non riuscì a vincere. E allora, nella coalizione che sosteneva Umberto Ambrosoli, c’erano tutti: dai moderati alla sinistrasinistra. Le primarie, in quell’occasione, funzionarono da collante: due candidati più radicali sfidarono Ambrosoli, persero ma rimasero al suo fianco. Ambrosoli fu poi sconfitto lo stesso da Roberto Maroni per 260 mila voti, realizzando comunque una delle performance migliori. Cinque anni dopo nulla è rimasto in piedi: Giorgio Gori, il candidato pd, nei sondaggi è distante da Maroni; Liberi e Uguali proporrà con ogni probabilità un proprio nome, così come Rifondazione. Ogni addetto ai lavori potrà spiegare che, dal 2013 a oggi, nel centrosinistra è cambiato il mondo. Eppure, per chi non mastica pane e politica tutti i giorni, capire perché si corre divisi dove è già difficilissimo vincere uniti, resta un rebus.