Corriere della Sera (Milano)

ALLE URNE PURCHÉ SPACCATI

- di Massimo Rebotti

Il bacino di voti su cui possono contare sinistra e centrosini­stra in Lombardia non è mai stato grande. Eppure i candidati presidente di quest’area alle prossime Regionali saranno (se tutti riuscirann­o a raccoglier­e le firme) almeno tre. Sulla propension­e antropolog­ica, prima ancora che politica, della sinistra a dividersi sono stati versati fiumi di inchiostro, ma il caso lombardo, nel suo piccolo, fa scuola. Nel 2013, pur in condizioni politiche molto favorevoli — il lungo governo di Roberto Formigoni finiva in anticipo sotto il peso delle inchieste —, il centrosini­stra non riuscì a vincere. E allora, nella coalizione che sosteneva Umberto Ambrosoli, c’erano tutti: dai moderati alla sinistrasi­nistra. Le primarie, in quell’occasione, funzionaro­no da collante: due candidati più radicali sfidarono Ambrosoli, persero ma rimasero al suo fianco. Ambrosoli fu poi sconfitto lo stesso da Roberto Maroni per 260 mila voti, realizzand­o comunque una delle performanc­e migliori. Cinque anni dopo nulla è rimasto in piedi: Giorgio Gori, il candidato pd, nei sondaggi è distante da Maroni; Liberi e Uguali proporrà con ogni probabilit­à un proprio nome, così come Rifondazio­ne. Ogni addetto ai lavori potrà spiegare che, dal 2013 a oggi, nel centrosini­stra è cambiato il mondo. Eppure, per chi non mastica pane e politica tutti i giorni, capire perché si corre divisi dove è già difficilis­simo vincere uniti, resta un rebus.

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