Da Francesco Sforza alle «Scimmie» E un anno di pensione
Mezzi di trasporto, templi della musica, ristoro e poesia
«I barconi vanno in pensione», annunciava il 25 agosto 1979 la cronaca milanese del
Corriere della sera. La pensione durò soltanto un anno, perché per iniziativa di Sergio Israel e di altri due amici, che avevano avuto l’idea durante una partita a scopone, nacque sul Naviglio Pavese «Le scimmie», uno dei locali simbolo nella Milano della rinascita anni 80, che per guadagnare spazio utilizzava proprio una di quelle chiatte andate in disuso. E già un decennio dopo, nel 1989, si era aperta la polemica contro il dilagare di questi barconi sui Navigli, alcuni ampiamente soppalcati, tanto che fu coniato il termine di «grattacieli galleggianti». Era lo stesso Israel, che in breve aveva fatto del suo locale uno dei templi del jazz milanese, a polemizzare contro l’uso eccessivamente speculativo dei vecchi barconi.
A Milano tutto si trasforma e si reinventa nel segno del dinamismo. In origine c’era Bertola da Novate, architetto al servizio di Francesco Sforza, che aveva avuto l’idea di collegare l’Adda al Ticino attraverso la cerchia dei canali milanesi. Ma già dal 1386, da quando Gian Galeazzo Visconti aveva posato la prima pietra per la costruzione del Duomo, in città entravano grandi chiatte cariche di marmo di Candoglia. I barconi attraccavano nel laghetto di Santo Stefano, a poco più di
I barcaioli La figura professionale del «barchiroeu» è inesorabilmente tramontata nel 1979
duecento metri dal Duomo.
Al servizio degli Sforza arrivò anche Leonardo da Vinci, che introdusse la prospettiva a volo d’uccello per lo studio delle acque. Da allora il sistema di navigazione milanese fu un work in progress. Il Naviglio di Paderno fu navigabile dal 1777, quello Pavese dal 1819. La città era un via vai di chiatte, di barconi che provenivano dal lago di Como scaricando in Darsena ferro piombo, rame e legna; dal lago Maggiore trasportando carbone, calce, marmi, vino, pesci, formaggi. Da Venezia arrivano soprattutto tonnellate di grano. Nel 1825 venne fondata una società di azionisti per la navigazione delle acque dell’Alta Italia, con sei battelli a vapore che trasportavano persone e cose. Due, l’Eridano e il Virgilio, facevano la spola da Venezia a Pavia. Di qui attraverso il Naviglio le merci entravano a Milano.
La corrente scorreva lenta e a governare le chiatte lunghe 24 metri e larghe quasi 5 c’erano i «barchiroeu», una figura professionale inesorabilmente tramontata nel 1979. Negli anni 50 era stato calcolato che la Darsena di Milano per volume delle merci trattate era stato il quarto porto commerciale italiano e il sesto europeo. Tanto importante che il Lloyd austriaco aveva fatto un investimento per una flotta di ottanta barconi di ferro. Sui duecento chilometri di Navigli transitavano merci ma anche persone. Le cronache raccontano che il 1° febbraio 1489 fece il suo ingresso in città su un bucintoro Isabella d’Aragona destinata alle nozze con Gian Galeazzo Sforza. Nell’Ottocento venne istituita una linea giornaliera tra Milano e Pavia su battelli trainati da cavalli frisoni che andavano anche al piccolo trotto.
Nel 1928 venne decretata la copertura della cerchia interna dei Navigli, ma il trasporto su chiatte sempre più grandi continuava. Anzi, il fascismo in virtù delle ristrettezze autarchiche puntava molto sul trasporto sull’acqua. E le esigenze economiche alimentavano anche la poesia. Racconta Gaetano Afeltra che Luigi Einaudi, collaboratore del
Corriere della Sera, sostava davanti al tombone di San Marco per assistere allo spettacolo delle gru che prelevavano dai barconi le enormi bobine di carta per la stampa del giornale.
Negli anni Cinquanta la Darsena per volume delle merci era il quarto porto commerciale italiano e il sesto europeo. E lungo i 200 chilometri di Navigli viaggiavano anche persone