Bosso: «Pochi palchi per i concerti jazz»
Fabrizio Bosso in quartetto rilegge i più noti standard natalizi al Blue Note «Preservo la cantabilità delle melodie improvvisando su ritmi e armonie»
Più club per tutti «Il jazz va vissuto ogni giorno, peccato che nel nostro Paese manchino spazi per i concerti»
«Suono al Blue Note per chiudere il mini tour per il lancio del disco “Merry Christmas Baby”, una raccolta di classici che rileggo con il mio quartetto e con il giovane cantante Walter Ricci». Il trombettista torinese Fabrizio Bosso torna al jazz club dell’Isola con un doppio concerto proprio sul finire del periodo festivo per proporre grandi classici come «Have Yourself a Merry Little Christmas», «Let it Snow» e «Frosty the Snowman». In studio di registrazione, ma non dal vivo, Bosso ha ospitato per un cameo la vocalist Karima per il brano «The Christmas Song».
«Ho deciso di preservare al massimo la cantabilità delle melodie e poi di improvvisare su armonie e ritmiche post bop com’è consuetudine per il mio quartetto, con la partecipazione di un giovane e ottimo cantante, specialista di scat, come Walter Ricci», dice Bosso, che ha in programma anche per il 2018 concerti con il suo Spiritual trio, consacrato a un omaggio alla musica afroamericana. Oltre a questo, Bosso è molto attivo sul fronte delle big band, line-up con cui ha dedicato un tributo a Duke Ellington fra i progetti più recenti: «La dimensione dell’orchestra jazz per un solista come me equivale a tuffarsi nella memoria dei capolavori della musica americana, con l’energia di un ensemble che per un improvvisatore è una sfida stimolante».
Riflettendo sulla scena italiana, Bosso pensa soprattutto ai giovani: «I ragazzi che si avvicinano al jazz dovrebbero essere agevolati in ogni senso, dalle rette non proibitive nelle scuole musicali agli accessi a prezzi calmierati per i concerti. Il jazz va suonato e studiato ma anche vissuto ogni giorno senza perdere occasione di ascoltare i grandi maestri». Un tema che sta a cuore di un jazzista che per sua stessa ammissione ha avuto molta fortuna: «Incontri come quelli con Carla Bley, Steve Coleman e Kenny Wheeler sono stati determinanti per la mia carriera ma anche le diverse partecipazioni a Sanremo con Sergio Cammariere, Nina Zilli e Raphael Gualazzi sono state un’esperienza positiva. Ai jazzisti emergenti dico: questo è un mondo che chiede molto agli artisti e non è certo il business del pop; eppure, a condizione di metterci l’anima, è una genere che può dare enormi gratificazioni».
Resta però il problema degli spazi: «A Roma la Casa del Jazz ha una capienza di 120 spettatori ed è solo un esempio; mancano nuovi punti di ritrovo un po’ dappertutto nel nostro Paese e soprattutto un pubblico che abbia voglia di sentire nuovi artisti. E comunque l’Italia dovrebbe tornare ai tempi d’oro in cui i jazz club proliferavano un po’ dovunque, certamente meno penalizzati dalla burocrazia rispetto ad oggi». Lo scorso novembre Fabrizio ha reso omaggio al trombettista be bop Dizzy Gillespie, un musicista dotato di una tecnica straordinaria su tempi velocissimi: «Dizzy è sicuramente un mio riferimento così come lo è Clifford Brown: due solisti ricchi di colori e dinamica come vorrei essere io».