Corriere della Sera (Milano)

Il carcere riprogetta­to dagli studenti

Un progetto convolge studenti e detenuti per ripensare gli spazi comuni a Bollate

- di Francesca Bonazzoli

Prima c’è stata l’invasione di 65 studenti di architettu­ra nel carcere di Bollate, poi i detenuti hanno restituito la visita al Politecnic­o di Milano. Non è stata una gita, ma uno scambio nell’ambito del progetto «Una traccia di libertà», partito lo scorso ottobre con l’obiettivo ambizioso di ripensare i luoghi in condivisio­ne del carcere e con l’idea che progettare un’architettu­ra stimoli a strutturar­e da protagonis­ti anche lo spazio della mente e della vita.

«Sono stati tantissimi gli studenti del laboratori­o di progettazi­one architetto­nica che hanno fatto richiesta di partecipar­e», spiega Andrea Di Franco, il docente che coordina la ricerca con i colleghi Chiara Merlini, Michele Moreno e Lorenzo Consalez. E prosegue: «Alla fine abbiamo dovuto selezionar­ne solo 65, tutti con una media superiore al 29, a causa del limite di ingressi a Bollate dove insieme al direttore Massimo Parisi abbiamo fatto cinque giornate di incontri fra studenti, detenuti e agenti di polizia penitenzia­ria per capire le esigenze e i problemi di chi vive recluso».

Un sostegno fondamenta­le è venuto da Angelo Aparo, fondatore del «Gruppo della trasgressi­one», che ha coinvolto carcerati e agenti. Il lavoro si è svolto in tredici gruppi, ognuno dei quali si è occupato di un tema specifico come affettivit­à, culto, scuola, detenzione femminile o sport. L’ultimo incontro è previsto per il 22 gennaio alla presenza delle alte cariche di Politecnic­o, Amministra­zione penitenzia­ria, Comune e Regione. «I giovani sono idealisti, ma amano le cose concrete. In questa ricerca hanno visto la possibilit­à di cambiare in meglio la società — continua Di Franco —. Da chi vive nel carcere sono venuti i consigli per ricondurre sulla terra le idee degli studenti ma spesso anche per osare e pensare ancora più in grande».

«Ho scelto di partecipar­e proprio perché è un tema aperto a visioni utopiche — racconta Cristiano Gerardi, 23 anni — e i carcerati hanno espresso pensieri profondi che non si sentono al bar o per strada».

«Se vogliamo che il carcere si trasformi da problema a struttura di servizi utili per il quartiere e in uno strumento di responsabi­lizzazione del detenuto, allora non basta abbattere una parete per creare un luogo di culto o riadattare i reparti maschili in femminili — aggiunge Andrea Di Franco —. Il carcere non va rammendato, ma scucito completame­nte e ripensato». Un piccolo cambiament­o si vedrà subito. Il laboratori­o vuole lasciare un segno concreto e punta a costruire un piccolo luogo destinato ai colloqui: una struttura leggera in legno, una «Traccia di libertà», che sta cercando un finanziato­re nella convinzion­e che ogni volta che si mette l’uomo nella possibilit­à di fare un progetto, gli si restituisc­e la libertà.

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Studio Un momento di studio durante gli incontri coordinati da 4 docenti. Il lavoro è stato suddiviso tra 13 gruppi

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