Dal verde al bianco, se la muta è hi-tech
Verde-neri, gialli, oggi bianchi. I taxi milanesi cambiano colore, ogni volta lasciando schiere di nostalgici al seguito. Ma la muta non è soltanto cromatica bensì anche tecnologica. Nel tempo, le innovazioni nella gestione di corse e chiamate hanno accompagnato le piroette estetiche del servizio pubblico a quattro ruote, dalla prima centrale radio nella Torre Velasca fino a computer negli anni 80, chiamate a pulsante e sistemi satellitari negli anni 90 e app sul telefonino oggi. Per non parlare dell’evoluzione sul tema sicurezza: con telecamere interne ed esterne e allarmi istantanei, oggi fare il tassista è un altro mestiere rispetto a trent’anni fa quando i colleghi descrivevano una Milano in cui, «almeno una volta, una pistola alla nuca, ce l’hanno puntata a tutti». Senza neppure bisogno di risalire alle origini del nome «taxi», alle famiglie mitteleuropee di corrieri postali — i bergamaschi «de Tassis», poi bavaresi «Thurn und Taxis» —, antenati delle prime avventurose corse a cavallo dell’erede Fran (von Taxis) da Vienna a Bruxelles, nel 1504, alla mercé di ladri e banditi. Certo, non tutte le innovazioni riescono col buco. Basti pensare alla
app (Mit -Milano in taxi) che doveva sostituire le colonnine di chiamata ai posteggi comunali. Così, oggi, mentre oggi in tutta Europa Centrale spopola la app della Daimler che consente di prenotare il taxi più vicino dal telefonino (MyTaxi), il medesimo servizio comunale e gratuito, fatica incredibilmente a decollare. Sia nella versione via app (Mit) sia via numero unico 7777, sconosciuto ai più oltre che boicottato. Anche se in molti lo ignorano, infatti, oggi come ieri fermare un taxi con la mano per strada è vietato: due uomini d’affari bavaresi nel 1983 iniziarono un incubo legale durato sei anni per aver preso così un taxi all’ex fiera. Il paradosso è che bisognerebbe usare un sistema di chiamata pubblico che però, tra app che balbettano e colonnine dismesse, oggi di fatto non c’è.