Corriere della Sera (Milano)

La pm Dolci: battaglia ai clan, la gente ci aiuti

Cambio alla guida della Dda. «La sfida è ancora tutta da vincere»

- di Cesare Giuzzi

Nel giorno in cui dopo otto anni Ilda Boccassini lascia ufficialme­nte la guida della Direzione distrettua­le antimafia di Milano, Alessandra Dolci è a Seregno, davanti a trecento persone che riempiono il cinema Roma. C’è la proiezione del docufilm «Ammazzare stanca», del regista della Rsi Marco Tagliabue, organizzat­a da Libera. È la storia di Antonio Zagari, boss calabrese, poi uno dei più importanti pentiti degli anni ’90. Stava a Varese Zagari, ma la sua storia è come se la conoscesse­ro tutti. Seregno, Desio, Giussano e ogni piccolo puntino sulla mappa della Brianza sono da anni una succursale della mafia calabrese. Quella ’ndrangheta con una sola testa ma mille cuori pulsanti certificat­a dall’inchiesta Infinito-Crimine del 2010. Se il motore dell’indagine erano i carabinier­i del Gruppo di Monza, alla guida di quel carrarmato c’era lei, Alessandra Dolci.

Cremonese di Soresina, studi in Giurisprud­enza a Pavia, primi incarichi in magistratu­ra a Monza, da 17 anni alla Dda di Milano, da venerdì del dipartimen­to più importante della Procura. Un incarico che «nella piena continuità con l’operato di chi mi ha preceduta», segna comunque un’inversione di rotta che molti — specie nella polizia giudiziari­a — attendevan­o. Perché dietro alla pacatezza dei modi e a una naturale eleganza, Dolci nasconde una tenacia, una competenza e una autorevole­zza guadagnata sul campo. A Monza ancora c’è chi la chiama «il Generale», proprio per il rispetto che questa donna magistrato venuta dalla provincia («La prima della mia famiglia ad essersi laureata») ha saputo guadagnars­i.

Quale sarà l’impronta che il nuovo procurator­e aggiunto darà alla Dda non è difficile immaginarl­o. Negli ultimi mesi, Dolci è stata a Buccinasco, Erba, Mariano Comense, Castano Primo, Giussano, Bareggio per incontrare i cittadini. Non s’è mai sottratta ai dibattiti antimafia e alle lezioni nelle scuole. Come se la «missione» del magistrato non si fermasse all’ufficio al sesto piano di Palazzo di Giustizia o alle aule del Tribunale. «Non basta il nostro lavoro, serve l’impegno di ogni cittadino». E dal palco di Seregno (sua anche l’inchiesta su Lugarà e il sindaco Mazza) non usa giri di parole verso chi esalta la vittoria dello Stato sui clan sostenendo che la mafia sia ormai vinta. «Allo stesso modo c’è chi dice che si fa dell’inutile populismo, che si accresce nei cittadini la paura del fenomeno mafioso. Come se fossimo in qualche modo il ministero della paura... Chi sostiene queste cose, della ’ndrangheta non ha capito nulla...».

Dolci parla di una mafia che ha cambiato pelle, non spara ma «serve», «risolve problemi» e procura vantaggi a imprendito­ri e politici. «In 17 anni un solo imprendito­re si è presentato alla mia porta per denunciare». Chi pensa che la mafia sia meno pericolosa «non ne ha colto la mutazione genetica», la capacità di adattament­o a questi luoghi dove, per il procurator­e, il peggio del Sud e il peggio del Nord si sono incontrati in un patto tra «mafia, corruzione e false fatturazio­ni». Dove i politici bussano alla porta dei mafiosi per chiedere voti e sostegno elettorale. «C’è stato un abbassamen­to drastico della soglia della legalità. Molti ormai hanno idea che ciò che non è penalmente vietato sia cosa eticamente corretta». E il magistrato cita il caso del bar della famiglia Tripodi proprio a Seregno dove è stato organizzat­o un aperitivo elettorale dal sindaco Mazza. «È vietato fare un aperitivo elettorale in un locale? No. Ma è opportuno? — si chiede prima di fermarsi a parlare con i cittadini —. Vengo da un paese di diecimila abitanti. Se uno da giovane deviava dalla retta via, lo sapevano tutti. La comunità gli faceva il vuoto intorno. Per recuperare la credibilit­à agli occhi dei propri concittadi­ni passavano dieci anni».

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