«Noi cacciatori dei teatri scomparsi: dal Re al Milanese»
Cacciatori di teatri scomparsi. Tra archivi e documenti recuperati su eBay, vecchi quotidiani e testi drammaturgici. Sulle tracce del filo rosso che unisce i teatri milanesi, per raccontarne la storia con le immagini. «Ci interessa il rapporto con l’urbanistica e i cittadini, il lato sociale. Niente nozionismo». È la missione di Slow City, l’associazione che ha già all’attivo alcuni documentari sul passato della città e ora si rimbocca nuovamente le maniche, dopo la concessione del patrocinio del Comune. «Abbiamo iniziato le ricerche — racconta Marco Pascucci, regista per passione e presidente di Slow City —, stiamo raccogliendo più materiale possibile». I pezzi del puzzle cominciano a ricomporsi. I cacciatori hanno così riscoperto la facciata del «Manzoni che era in piazza San Fedele, fatto costruire da un gruppo di intellettuali». Chiusa la stagione del 1943 con alcuni spettacoli di Pirandello, pochi giorni dopo venne distrutto dalle bombe. C’erano poi il Milanese, in corso Vittorio Emanuele, le cui informazioni arrivano «da un testo di Cletto Arrighi che la biblioteca Sormani tiene in cassaforte» e il Re, «dal nome di un ciabattino amante delle marionette che lo commissionò a Luigi Canonica». Altra preziosa fonte il Guerin
Meschino, con la sua pagina fissa sui teatri e le vignette satiriche. Ma nemmeno lì è stato possibile reperire sufficienti notizie sul teatro dello Stadera e il café chantant ai Giardini Montanelli, che rimarranno quindi fuori dalla narrazione. Assieme a Pascucci lavorano coordinatori del Touring club, uno storico dell’architettura, un’imprenditrice del turismo culturale e una vasta schiera di volontari. Tutti all’opera per realizzare una trilogia da qui al 2020. «Il primo docufilm con tre teatri esistenti e uno scomparso sarà pronto tra giugno e settembre — dice il regista —. Poi ripeteremo lo stesso schema per le altre due puntate, a distanza di un anno una dall’altra». Nel videoracconto non mancheranno la Scala, il Filodrammatici, il Litta. «Dei più famosi indagheremo gli aspetti curiosi, per essere divulgativi e mai noiosi». E il teatro Romano rinascerà grazie a una animazione in 3D. Costi? «Se ci facessimo pagare, decine di migliaia di euro. Ma siamo volontari, ci spinge la passione e il successo che i documentari riscuotono».