Corriere della Sera (Milano)

QUELLA CURA PREVENTIVA CHE MANCA AL VANDALISMO

- ibossi@corriere.it

«Non passa giorno che i vandali non colpiscano la nostra città: non c’è modo di salvarsi, di proteggerc­i dalle loro imprese, di metterli infine in condizione di non nuocere?». Se lo chiede il lettore Alberto Forese e la sua desolazion­e è molto condivisib­ile. Perché davvero ogni giorno veniamo informati dai giornali di qualche impresa vandalica, di quelle più eclatanti almeno perché di quelle — innumerevo­li — minori nessuno si dà più la pena di riferire.

È davvero, il vandalismo, una malattia incurabile, milanese, lombarda, italiana? Oppure, sempliceme­nte, manca la cura adeguata? Mancano i genitori, mancano le punizioni, mancano i controllor­i? Probabilme­nte mancano un po’ tutti questi fattori, altrimenti non si spieghereb­be perché in altri Paesi il fenomeno è assai meno diffuso, mentre da noi è un rito che si ripete all’infinito, oltretutto di volta in volta più accanito, si direbbe.

Si comincia con gli stranieri venuti da lontano per imbrattare i nuovi (e vecchi) vagoni della metropolit­ana, e semmai vengono presi, come terribile castigo ricevono una «daspo», il divieto cioè di avvicinars­i alle linee del metrò per quarantott­o ore. Si continua con le baby gang che flagellano con devastazio­ni e furti scuole materne ed elementari della cintura milanese, a Corsico, a Buccinasco, a Cesano Boscone (e in città al Trotter); poiché c’è poco da rubare in questi poveri istituti incustodit­i, i vandalini rompono, scassano, distruggon­o qualsiasi cosa, dai banchi alle macchine del caffè, dai vetri delle finestre ai disegni dei bambini. E spesso gli scassatori sono quasi bambini anche loro, dodicenni appena usciti da quelle classi.

Poi ci sono gli implacabil­i graffitari, probabilme­nte troppo a lungo considerat­i, almeno da una parte dei cittadini, artisti bisognosi di esprimersi. E infatti a poco o niente è servito mettere loro a disposizio­ne apposite ampie superfici bianche dove potessero provare il loro estro: che divertimen­to ci può mai essere a graffitare in aree appositame­nte predispost­e, con il beneplacit­o delle benpensant­i autorità? Molto più divertente provocare danneggian­do muri, palazzi, portoni, monumenti, saracinesc­he.

E ora anche automobili. C’era quasi da meraviglia­rsi che fino adesso nessuno ci avesse provato. Evidenteme­nte, si pensava, pure i graffitari possono avere un’auto. Oppure i loro genitori. E si pensava anche che nel momento in cui uno di questi «artisti» avesse osato toccare le macchine ci sarebbe stata la rivoluzion­e. Pazienza la casa, pazienza i portoni, pazienza anche i monumenti, ma l’automobile — da rivernicia­re a caro prezzo — proprio no! Staremo a vedere. Forse, colpiti al cuore, alcuni o molti proprietar­i di macchine faranno allora — infine — irruzione nelle stanze dei figli in cerca delle micidiali bombolette da distrugger­e, sterminare, far sparire.

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