Chailly: il mio Conservatorio
Il direttore della Filarmonica della Scala ricorda gli anni di studio al «Verdi» I maestri, le insicurezze, le emozioni. E quando, per assistere alle prove...
«È stata una serata di emozioni. Un viaggio indietro nel tempo, solo che stavolta sul podio c’ero io...». Il giorno dopo la prova aperta ai giovani al Conservatorio, Riccardo Chailly assapora la sua «madeleine» di musica e memoria. Perché dentro quelle mura austere, lui ha studiato, si è formato, ha vissuto le prime grandi esperienze di ascolto. La memoria ha le sue vie segrete. Come quella che l’allievo Riccardo a inizio degli anni 70 aveva trovato per eludere un divieto. «Ai miei tempi noi studenti non potevamo assistere alle prove. Ma io, approfittando del tunnel che dalla biblioteca porta sopra la Sala Verdi, raggiungevo una porta chiusa sormontata da una finestrella. E da lì in piedi “spiavo” le prove di maestri come Celibidache, Kempe, Jochum, Delman, Maderna... Ascoltavo e guardavo, cercando di capire il mistero dell’interpretazione».
Stratagemmi che non servono più. Chailly appena può apre le prove con entusiasmo. E così, alla vigilia dell’anniversario della scomparsa di Abbado, il 20 gennaio 2014, per un'ideale continuazione nel solco della divulgazione e condivisione cari a Claudio, Chailly è tornato in Sala Verdi con la Filarmonica della Scala per una platea di studenti del Conservatorio, Accademie musicali e Università. Con Petruska di Stravinskij e la Seconda di Ciaikovskij.
«A 15 anni mi sono iscritto, consapevole di dover affrontare un percorso di studio lungo e impegnativo», prosegue. «Frequentavo il liceo interno e seguivo i corsi di composizione. Mio padre Luciano, compositore, sosteneva che un interprete non può capire davvero un brano se non ha studiato composizione. Lui è stato il mio primo maestro, ma mi ha spinto verso altri insegnanti: Bettinelli, Caracciolo, De Grada. E poi ricordo anche le lezioni folgoranti di Enzio Cetrangolo, latinista insigne».
Anni di studio matto e disperatissimo. «Il poco tempo libero lo passavo alle prove dell’orchestra degli allievi. Durante una di queste il caso mi chiamò a un debutto inatteso. Sul leggio l’Arlesiana di Bizet ma mancava il timpanista. E io che avevo studiato percussioni fui arruolato all’istante».
Precocissimo l’esordio sul podio. A 14 anni a Padova con i Solisti Veneti. «Avevo già studiato a Santa Cecilia e al Morlacchi di Perugia, il Conservatorio di Milano è stato il terzo approdo, il più importante. Sono molto affezionato a questi spazi, grato per quello che qui ho ricevuto. Per le emozioni e anche per le insicurezze che, come ogni giovane che si avvia a una professione tanto desiderata, sono inevitabili. Ho avuto conflitti interiori notevoli ma mai ho pensato di lasciare. La musica era troppo dentro di me». Difatti a 21 anni il giovane Chailly è già sul podio in America. «Bartoletti ebbe il coraggio di invitarmi a dirigere Madama Butterfly. E io l’ardire di accettare». La carriera di un direttore era cominciata.
L’ingresso «Mi sono iscritto a 15 anni, consapevole di dover affrontare un percorso impegnativo»