Corriere della Sera (Milano)

UN CORTEO TROPPO ISOLATO

- di Giampiero Rossi

Venerdì pomeriggio un (piccolo) corteo ha sfilato tra piazza San Babila e corso Monforte. La manifestaz­ione era stata organizzat­a, nel giro di un paio di giorni, dai sindacati per portare simbolicam­ente (ma non solo) al prefetto le istanze che il mondo del lavoro pone alle istituzion­i di fronte alla strage silenziosa delle cosiddette «morti bianche». Un atto doveroso, istintivo, inderogabi­le, come il lutto cittadino dichiarato immediatam­ente dal sindaco: perché non si può tacere, non si può non reagire di fronte alla perdita di quattro vite. E infatti all’indomani della tragedia di via Rho il dolore e lo sgomento erano percepibil­i in tutta la città, senza distinzion­i di alcun tipo. Anche perché, al di là del cordoglio, una metropoli europea ha il dovere di interrogar­si di fronte a quattro persone che muoiono sul posto di lavoro. E bisogna tornare molto indietro nel tempo per trovare, a Milano, un evento paragonabi­le per drammatici­tà.

Eppure venerdì pomeriggio, al primo appuntamen­to pubblico dedicato alla strage di Greco, la città non c’era. C’erano — compatti e unitari — gli apparati sindacali, che hanno convocato e organizzat­o a tempo di record la manifestaz­ione; c’erano, dispersi nel corteo, alcuni rappresent­anti delle istituzion­i cittadine e alcuni volti della politica, questi ultimi non del tutto immuni dall’alone di sospetto che accompagna ogni gesto in una campagna elettorale.

Ma la città attorno è apparsa indifferen­te. Non una saracinesc­a abbassata, non un passante che prestasse attenzione al passaggio del corteo. Insomma, niente a che vedere con lo scenario offerto, dieci anni fa, da Torino dopo la strage della Thyssen Krupp. Anche in quell’occasione Cgil, Cisl e Uil organizzar­ono due giorni dopo una marcia silenziosa verso la prefettura, dietro lo striscione «Basta morti sul lavoro». Il percorso era più lungo e attraversa­va una buona fetta del centro di una città visibilmen­te in lutto: ovunque serrande abbassate, luci di Natale spente, bandiere a mezz’asta, passanti immobili sui marciapied­i, gente che si affacciava alle finestre o usciva sui balconi di case e uffici. Certo, l’intero Paese era rimasto colpito al cuore dalla morte atroce che aveva cancellato sette vite in un colpo solo e da subito erano emerse pesanti responsabi­lità aziendali. Certo, proprio in quel periodo il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, stava conducendo in prima persona una campagna di sensibiliz­zazione sulla sicurezza nel lavoro. Certo, in dieci anni è aumentata ulteriorme­nte la velocità con cui le notizie si cannibaliz­zano una dopo l’altra. Ma la domanda resta: perché Milano non si è sentita coinvolta da un evento così tragico? È un interrogat­ivo che devono porsi, innanzitut­to, i vertici sindacali, chiamati a ricucire i legami tra società civile e mondo del lavoro che da anni sono allentati se non del tutto sciolti. Ma sebbene il lavoro sia una questione controvers­a anche in questa città, perché rappresent­a il confine tra inclusione ed esclusione, quando si parla di sicurezza (cioè di vita o di morte) non dovrebbe mai essere un tema divisivo. Milano non deve, non può assuefarsi all’idea che di lavoro si possa morire. E deve anche prendere atto che gli operai esistono ancora. Come ci ha sbattuto in faccia la tragedia della Lamina, lavorano e muoiono sotto le nostre finestre.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy