GLI SCONOSCIUTI MAGREBINI E LA BATTAGLIA DI MAGENTA
«Chi erano Barka Ben Mohamed, Abdelkader Ben Abdallah, Abdelkader Ben Dedouch, Abdelkader Ben Tahar, Ali ben Amar, Amed Ben Dern, Mohamed Ben Mohamed? » . Lo chiede, con domanda — per lui retorica — il lettore Francesco Lomartire. Sono soltanto alcuni dei numerosi zuavi algerini, arruolati dalla Francia, che caddero combattendo agli ordini di Napoleone III al fianco dei piemontesi nella battaglia di Magenta contro gli austriaci.
Ce lo ricorda il monumento a cavallo dell’imperatore francese che si trova al Parco Sempione, e il lettore lo ha visitato dandosi la pena di decifrare il lungo elenco dei morti in quel conflitto iscritti alla base della statua. È rimasto colpito dalla frequenza di nomi arabi, gli unici, peraltro, annotati per esteso, probabilmente perché il redattore della nera lista si è trovato in difficoltà con gli appellativi stranieri: ai caduti francesi è stato, infatti, concesso soltanto il cognome.
La battaglia, combattuta il 4 giungo del 1859 — seconda guerra d’indipendenza, dunque — diede il nome a un colore, appunto il Magenta, che sarebbe un rosso chiaro, simile al sangue fresco: e infatti fu l’impressionante spettacolo di così tanto sangue versato nella cittadina lombarda — più di duemila i morti di entrambe le parti, il triplo di feriti — che suggerì l’idea di un nuovo colore. «È lecito affermare — domanda ancora il lettore Lomartire — che questi zuavi algerini presenti in battaglia hanno contribuito non soltanto a liberare la Lombardia dal dominio austriaco ma anche all’ unità d’Italia?». Probabilmente sì, perché la vittoria, sia pur faticosa, conquistata dagli eserciti alleati franco-italiani non soltanto permise a Vittorio Emanuele II e a Napoleone III, appena quattro giorni dopo, di entrare a Milano da trionfatori, passando come antichi imperatori romani sotto l’Arco della pace, ma gettò anche basi fondamentali per l’unificazione italiana avvenuta sette anni più tardi. E chissà se quei giovani magrebini caduti a Magenta, dei quali ci rammenta il monumento, hanno attraversato l’Adriatico su barche di fortuna come forse oggi qualcuno dei loro lontani discendenti. E a proposito di monumento, vale la pena ricordare anche le sue vicissitudini, tipicamente italiane, verrebbe da dire. Progettato dopo la morte dell’imperatore francese nel 1873, trovò subito forte opposizione da ambienti garibaldini tanto da provocare un’interrogazione parlamentare e tutti i grandi del tempo, da Verdi a Manzoni, da Fogazzaro a Guerrazzi, parteciparono al dibattito. Fu istituita una commissione e infine fu dato l’incarico di realizzare la statua a Francesco Barzaghi, poi collocata, non finita, nel cortile del Palazzo del Senato. Sistemazione «provvisoria» durata oltre 50 anni poiché solo nel 1927, dopo altre discussioni, fu trasferita al Sempione. Dove oggi se ne sta in discrezione, un po’ nascosta dagli alberi infittiti.
Chissà se quelle giovani vittime hanno attraversato l’Adriatico su barconi come forse oggi i loro lontani discendenti