Operai morti in 5 secondi Sicurezza, pochi ispettori
Indagine sulla Lamina: intossicazione da argon, due le morti istantanee
Le prime due vittime della strage alla «Lamina spa» sono morte in pochi secondi a causa dell’accumulo di argon, un gas tossico. Lo rivelano gli accertamenti fatti sul posto. Intanto al via un tavolo tecnico in prefettura per un piano di prevenzione degli infortuni nei luoghi di lavoro. Soddisfatti sindacati e imprenditori, ma resta il nodo degli ispettori delle Ats, troppo pochi per 170 mila aziende.
Sono le sei del pomeriggio, martedì 16 gennaio, dalla «fossa» sotto il forno per scaldare l’acciaio sono stati appena tirati fuori i cadaveri di tre lavoratori, più un quarto in fin di vita. Gli specialisti dei vigili del fuoco iniziano gli accertamenti. Il primo lo fanno con lo strumento che rileva la qualità dell’aria nella «buca» (profonda 2 metri, larga 2,5) in un angolo del capannone della Lamina spa, azienda che lavora acciaio e titanio a Greco. L’esito dell’esame è drammatico: «Percentuale di ossigeno nell’aria: zero».
In pochi secondi
Significa che un gas «pesante» ha ristagnato nella «fossa», l’ha completamente riempita (come fosse una vasca piena d’acqua), e dunque l’elettricista Marco Santamaria, il responsabile di produzione Arrigo Barbieri e l’operaio Giuseppe Setzu, una volta scesi i pochi gradini della scaletta, sono «svenuti immediatamente». E sono morti «in pochissimi secondi» (anche per il fratello di Barbieri, Giancarlo, che morirà in ospedale, i danni sono stati irreparabili).
Le autopsie fatte ieri all’Istituto di medicina legale aggiungono due elementi: il primo conferma la «morte per asfissia»; il secondo, invece, definisce un aspetto decisivo per l’indagine, e cioè l’«intossicazione acuta da argon». È quello il gas «mortale» che ha ucciso i lavoratori, un gas con peso specifico molto alto, che dunque è rimasto «schiacciato» a terra e s’è via via accumulato fino a saturare tutta la «buca» sotto il forno.
La presenza dell’argon, anticipata qualche giorno fa dal
Corriere, chiarisce la dinamica del più grave infortunio sul lavoro nella storia recente di Milano, ma l’inchiesta dei pm Tiziana Siciliano e Gaetano Ruta ha l’obiettivo di scoprire da dove sia uscito quel gas e perché l’assenza di ossigeno non sia stata segnalata dall’allarme. Ieri i magistrati, con gli esperti di vigili del fuoco e dei carabinieri, sono tornati nell’azienda per fare una sorta di «esperimento» e analizzare tutti gli impianti del forno nelle medesime condizioni del giorno dell’incidente.
«Allarme disattivato»
I punti fondamentali da chiarire sono due. Da una parte c’è il meccanismo di allarme, che si sarebbe dovuto attivare perché nella «buca» le condizioni dell’aria erano «incompatibili con la vita». La sirena dell’allarme, è stato accertato ieri, funzionava. E dunque: o il meccanismo è stato disattivato (magari per fare qualche riparazione), o è stato ignorato (ma per questa possibilità, al momento, non c’è spiegazione). Nelle testimonianze, gli altri operai hanno affermato di non aver sentito segnali di allerta nei giorni precedenti.
Una delle ipotesi è che i primi due lavoratori, il direttore di produzione Barbieri e l’elettricista Santamaria, siano scesi per sistemare un guasto elettrico che, in quel momento, ritenevano minore. Su questo punto l’inchiesta avanza incrociando i racconti degli operai e le analisi sugli impianti (altri accertamenti verranno eseguiti nei prossimi giorni nella fabbrica ancora sotto sequestro).
«La perdita di gas»
Il forno in cui è avvenuto l’incidente (marca «Ebner», au-
striaco, risalente agli anni Ottanta) è di fatto una grossa «campana» utilizzata per «scaldare» l’acciaio prima di altre lavorazioni. Sotto, nella «buca», ci sono gli impianti collegati al macchinario. In quella «campana», quando si lavora con l’acciaio, viene «pompato» azoto per evitare l’ossidazione: questo è l’utilizzo primario. Lo stesso forno può essere però impiegato anche per il titanio, e in quel caso il gas «di supporto» non è più l’azoto, ma l’argon. Entrambi i gas, dunque, sarebbero compatibili con un uso «corretto» del forno «Ebner» (all’inizio si pensava a un’intossicazione da solo azoto e non si trovava una spiegazione per le tracce di argon sulle vittime).
L’incidente è avvenuto per una coincidenza tra l’allarme «muto» e un guasto che ha provocato la fuoriuscita del gas. Ieri gli investigatori si sono concentrati sull’allarme. I prossimi accertamenti punteranno a capire da dove sia arrivato l’argon che ha riempito la «buca».