La forza delle donne in tempi di guerra
Sarti rilegge un episodio cittadino del 1943
Basta ripercorrere gli ultimi vent’anni del curriculum di Renato Sarti per comprendere le ragioni che lo hanno spinto a scrivere (e a dirigere) «Matilde e il tram per San Vittore», in scena al Teatro Studio Melato da domani. A partire da «Mai morti» (2000), monologo di un feroce nostalgico della Brigata Ettore Muti, fino a «Hermada. Strada privata» (2016), passando per «Nome di battaglia Lia», «I me ciamava per nome: 44.787», «Goli Otok» e «Gorla fermata Gorla», le sue drammaturgie hanno affrontato il tema della memoria in relazione alla Seconda guerra mondiale, ai campi di sterminio e alla Resistenza. Spesso con un’attenzione specifica a episodi, apparentemente «minori», riguardanti la periferia Nord di Milano, dove ha sede il Teatro della Cooperativa che dirige dal 2002.
Come anche nel caso di «Matilde e il tram per San Vittore», ricavato dal libro «Dalla fabbrica ai lager» di Giuseppe Valota. Nel 1943 una serie di scioperi paralizzarono i grandi stabilimenti dell’area Nord di Milano, allora i più grandi d’Europa. La risposta di Mussolini non si fece attendere: le case operaie di Sesto San Giovanni, Milano, Cinisello e dei comuni limitrofi furono teatro di retate spietate. Cinquecentosettanta uomini furono deportati nei lager e più della metà non ritornò a casa. Questo capitolo buio della nostra storia cittadina viene raccontato attraverso le voci di quelle madri, mogli, sorelle e figlie — Maddalena Crippa, Debora Villa e Rossana Mola le interpreti — che, dopo l’arresto dei propri uomini, si ritrovarono improvvisamente a gestire, da sole, un quotidiano di fame e miseria. San Vittore era uno dei luoghi di detenzione dove queste donne andavano a cercare i propri cari.
«In tutto il mondo — dice Sarti — assistiamo al risorgere di pericolosi populismi, che fanno leva sulla xenofobia, sul razzismo e sulla paura dello straniero. Molti vorrebbero portare indietro le lancette della storia e in questa partita giocata contro l’oblio il Teatro della Cooperativa si schiera in modo inequivocabile per fare la sua parte. E il modo migliore mi è sembrato quello di partire dalle donne, perché fin dalle tragedie greche (da «I sette a Tebe», a «Le troiane») la loro voce è quella che meglio di ogni altra riesce a rievocare l’orrore della guerra». Venerdì 26 gennaio, alle ore 17 nel Chiostro Nina Vinchi (via Rovello 2, ingresso libero), la compagnia incontra il pubblico per parlare dello spettacolo.