Al via «Writers», tre giorni a tu per tu con gli scrittori
Dal legame con Milano alla stesura dei suoi libri Parla Milo De Angelis ospite della rassegna
Poeta milanese, insegnante nel carcere di Opera, Milo De Angelis ha raccolto di recente i suoi versi nel volume «Tutte le poesie (1969-2015)» (Mondadori) confermandosi come maestro. Al Festival Writers, De Angelis dialoga domenica alle ore 15 con Viviana Nicodemo, regista del documentario a lui dedicato «Sulla punta di una matita» e proiettato a seguire.
Le sue opere hanno cadenza quinquennale. Mentre compone, vince l’attesa o la sorpresa?
«Vince l’attesa – un’attesa stringente e ossessiva – finché non si inizia a scrivere. Poi vince la sorpresa, che a volte si fa terremoto. Cito Marina Cvetaeva: «Finché non cominci – obsession, finché non finisci possession».
Lei scrive che la spirale è la forma geometrica che disegna il tempo vissuto da un poeta, nel rapporto tra ricordo e scrittura. Come?
«Il cammino lungo un cerchio ci fa ritornare al punto di partenza. Quello lungo una spirale ci permette di costeggiare il cammino precedente e di tornare negli immediati dintorni. Siamo abbastanza vicini per sentirlo, ma anche abbastanza lontani per vederlo. E forse è questo che consente la parola poetica».
Quanto contano i luoghi, per lei Milano e il Monferrato, nell’identità di una voce poetica?
«Per avere un peso poetico i luoghi devono innalzarsi e insieme restare se stessi. Devono diventare simboli e insieme mantenere la loro concretissima unicità. Milano è stata per me l’archetipo della città e al tempo stesso quel cinema della Bovisa o di Porta Venezia, con il suo respiro insostituibile. E il Monferrato è stato un archetipo della madre e al tempo stesso quella vigna solitaria, quella salita di collina non ancora asfaltata e percorsa in bicicletta allo stremo delle forze».
«Writers» è dedicato a Pasolini: la sua figura di poeta «civile» rimane valida?
«Pasolini è stato anche uno scrittore civile legato alle cronache del suo tempo. E forse questo, preso da solo, è il suo aspetto meno duraturo. Ma è poi stato un uomo legato al mondo classico, un poeta lirico capace di rinnovare negli anni Quaranta la poesia dialettale. E questo secondo aspetto accresce il primo e dà lunga vita a Pasolini».
Lei insegna al carcere di Opera: come vive questa esperienza?
«È un carcere di massima sicurezza e di condanne spesso definitive. Forse è stata questa dimensione ergastolana — drammatica e talvolta infernale — a ispirare la sezione “Alta sorveglianza” che chiude il mio ultimo libro ».
La poesia sopravviverà?
«Non c’è dubbio, proprio per il suo ritmo e profondità. Ciò che non sopravvive mai è la scrittura di rapido consumo, per sua natura e per nostra fortuna».
Comporre «La scrittura di rapido consumo non sopravvive: per sua natura e per nostra fortuna»