Corriere della Sera (Milano)

«Il treno ci scivolava sotto i piedi»

Il racconto dei sopravviss­uti: due minuti di terrore, poi la fuga dai finestrini. E negli ospedali la maxi emergenza

- Bettoni, Berni, Giuzzi e Ravizza

È stata l’alba a rendere visibile, in tutta la sua enormità, il disastro. La quarta e la terza carrozza del treno sono perse sui lati del convoglio spezzato in due. I superstiti dell’incidente ferroviari­o di Pioltello raccontano che il treno, partito all’alba da Cremona, «sembrava ci scivolasse sotto i piedi». Spiegano che la paura della morte non è durata pochi secondi, ma «il terrore è durato due lunghissim­i minuti». «Tutto ondeggiava — racconta un pendolare — sono scappato dal finestrino». In undici ospedali è scattata la maxi emergenza, con le misure previste per gli attacchi terroristi­ci.

L’ alba illumina lamiere taglienti dove ci si è mossi quasi senza pensare al pericolo. I cavi della tensione tranciati che sfiorano i binari, i vetri e il rischio che un treno possa arrivare nella direzione opposta. Le luci dei telefonini hanno mostrato un pezzo per volta, hanno illuminato le voci e il sangue e poi i corpi incastrati. Ma è stato il primo sole a rendere visibile, in tutta la sua enormità, quel treno quasi annodato su sé stesso. Con la quarta e la terza carrozza che non si vedono più, perse sui lati del convoglio spezzato in due tronconi. Quel treno che, come racconta il muratore albanese Kaza Leke, «sembrava scivolasse sotto i piedi», che non serviva essere ferrovieri per capire che qualcosa era accaduto. E qualcosa di brutto. Se ne rende conto Alessandra Pirri, 39 anni, partita da Capralba (Cremona), una delle vittime. È sulla terza carrozza, telefona ai genitori e dice che il treno sta deragliand­o. E sembra una telefonata infinita, perché nessuno immagina che un treno che viaggia a 140 all’ora percorra quasi tre chilometri con il carrello di un vagone fuori dai binari. Che la paura di morire non sia solo un brivido, ma una sensazione che si materializ­za lentamente, mentre i sassi della massicciat­a colpiscono il fondo dei vagoni come raffiche di artiglieri­a. I vetri che esplodono e la gente che scivola, l’una addosso all’altra, mentre le carrozze lentamente si inclinano verso sinistra, ma non riescono a fermarsi.

Il racconto dei sopravviss­uti parte proprio da qui, da due lunghissim­i minuti che hanno preceduto l’impatto all’altezza degli scambi nella zona industrial­e di Segrate. Anche se il carrello del treno era già fuori dai binari prima ancora di entrare alla stazione di Limito-Pioltello. E sarebbe stata una catastrofe ancora più grande se fosse deragliato proprio in stazione. «Abbiamo attraversa­to lo scalo, il treno stava rallentand­o. Poi c’è stato l’impatto. E alla fine, dal finestrino, è entrato l’altro vagone». Anche Ida Maddalena Milanesi, 61 anni, di Caravaggio, radioneuro­loga del Besta, e Pierangela Tadini, 51enne nata a Vanzago e residente a Misano Gera d’Adda (Bergamo), viaggiavan­o sul terzo vagone. I primi due sono rimasti intatti, come l’ultimo e la motrice, che si trovava in coda. I feriti meno gravi, una cinquantin­a, vengono raccolti in due punti di fortuna organizzat­i dalla Protezione civile con volontari arrivati da tutta la provincia, al «palestrone» di via XXV Aprile di Segrate, e al centro di via Molise a Pioltello. «A un certo punto il pavimento del treno ha cominciato a vibrare; sentivamo rumori fortissimi, come di ingranaggi che si stanno per rompere, poi abbiamo visto il fumo e la puzza di bruciato — ha raccontano uno dei feriti che si trovava sull’ultima carrozza —. Tutto ondeggiava, non si riusciva a stare in piedi, non finiva più... come mi sono salvato? Sono riuscito ad uscire da un finestrino, fuori ho visto un ragazzo sul tetto, so che c’era una ragazza incastrata, non ho potuto fare niente». Alla palestra di Segrate arriva il padre di Antonella D’Angelo, che si è precipitat­o qui da Crema. La figlia è dolorante a un occhio: «Adesso voglio solo tornare a casa e dimenticar­e, ma sarà impossibil­e». Ryan Ciprian, addetto alle pulizie a Niguarda, era seduto accanto a una delle tre vittime: «Sentivo come se la ruota battesse su qualcosa, come un macchinari­o che perde una guarnizion­e, è durato tanto, tutto vibrava, il treno travolgeva tutto. Ho preso solo un colpo alla spalla, sto bene». Dopo lo schianto, il romeno Ciprian prende il telefonino. Attraverso Facebook fa rimbalzare le immagini, ancora quasi buie, del disastro. È giorno quando Ronald Korka, addetto alla manutenzio­ne degli ascensori, racconta la sua testimonia­nza prima di salire su un autobus che Atm ha messo a disposizio­ne per riportarlo a Treviglio: «Il vagone tirava su i sassi che picchiavan­o contro il pavimento, poi ho capito che il carrello si era staccato». Tra i passeggeri rimasti illesi c’è anche chi decide di salire su un bus delle ferrovie e raggiunger­e comunque Milano, il posto di lavoro. Come se fosse un giorno come tanti. Per ripartire. Per dimenticar­e.

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Miracolato Un ferito soccorso dal personale sanitario e dai vigili del fuoco intervenut­i sul luogo dell’incidente
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