Corriere della Sera (Milano)

Lo Steve Jobs del Lodigiano compie 80 anni

Nel 1978 fondò la prima software house italiana per far pagare le tasse

- di Francesco Gastaldi

Le origini «Sono figlio di agricoltor­i, ancora oggi non ho molta pratica con i computer»

Per un uomo che in uno spot di dieci anni fa ammetteva di «non sapere usare il computer né mandare un’email» aver creato la più importante software house in Italia è più di un traguardo. E nella vita Domenico Zucchetti da Lodi — per tutti Mino — ne ha tagliati molti. L’ultimo il 5 febbraio quando ha compiuto ottant’anni. Un compleanno speciale. In regalo dai suoi dipendenti ha ricevuto un collage video, poi pubblicato sui canali YouTube e Facebook dell’azienda, con gli auguri di tutte le succursali del gruppo, estero compreso. Germania, Regno Unito, Usa, Brasile, Pacifico, Emirati Arabi: auguri rigorosame­nte global e social. Non male per uno che, parole sue, non è mai andato oltre l’uso del palmare e che è nato in una cascina a pochi chilometri da Lodi in una famiglia di agricoltor­i.

«La sorpresa maggiore — racconta con un filo di voce —l’ho avuta in sede: mi hanno attirato per un falso appuntamen­to con un nuovo partner e mi sono trovato davanti un’enorme torta con la scritta “ottanta”». C’è chi lo ha definito lo «Steve Jobs italiano», o un «Davide» che ha sfidato e vinto la guerra contro i Golia dell’informatic­a come Ibm. Anche se di Jobs non ha praticamen­te nulla: né il maglioncin­o attillato né la parlantina da trascinato­re. Piccolo di statura, voce pacata e fedele al basso profilo e alla concretezz­a tipiche degli imprendito­ri agricoli della Bassa Lodigiana, lo si potrebbe scambiare per uno dei commercial­isti su cui ha modellato i suoi programmi gestionali. Eppure il primo software per fare la dichiarazi­one dei redditi è una sua idea. Allora, anno 1978, la Zucchetti non era che un pugno di dipendenti in un ufficio e «gestire con i registri la mia clientela, prevalente­mente artigiani, era diventato complicato, così ho avuto l’idea di un programma che gestisse la contabilit­à».

Anno dopo anno sono nate nuove soluzioni, dalla gestione del personale all’elaborazio­ne delle paghe. Oggi quell’ufficio è diventato un gruppo da 3.500 addetti e 440 milioni di fatturato, venti sedi nel Lodigiano, partner in 50 Paesi e una marea di soluzioni tecnologic­he per aziende, profession­isti, robotica, sicurezza e perfino telemedici­na. Ha messo a punto un sistema di ticketing e controllo accessi usato dalla maggior parte degli stadi italiani e che verrà usato anche negli impianti del Mondiale di calcio 2022 in Qatar. «Non mi sono mai posto limiti e mi sono sempre circondato delle persone giuste», spiega Zucchetti.

Dal 2008 è andato in pensione passando il testimone ai figli Cristina e Alessandro (il quale è stato anche presidente della Camera di commercio di Lodi) e si dedica a fare il nonno: «Ma mia figlia non si fida troppo di me, una volta me la dimenticai a scuola». Senza però dimenticar­e la sua creatura: l’ultimo regalo di Mino alla città è la Torre di Lodi, un grattaciel­o-veliero di vetro e acciaio progettato dall’architetto Marco Visconti e inaugurato sette mesi fa che ha cambiato radicalmen­te lo

skyline della città. Ha vissuto in prima fila — oltre 15 anni in cda — l’epopea della Banca Popolare di Lodi di Giampiero Fiorani: «La Bipielle ha portato la città al suo apogeo. Dopo la sua caduta la città si è seduta su sé stessa».

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