Il mio Verdi preferito
Chung torna sul podio della Scala con il «Simon Boccanegra» «C’è sempre qualcosa da imparare»
«Forse Simon Boccanegra è il personaggio verdiano più grande di tutti; un altro gigante è Don Carlo, ma chi è? Divinità, spirito, altro? Simone è il più grande per la capacità di mostrare sempre coraggio e nobiltà, per essere davvero il fulcro, il cardine attorno a cui tutta l’opera ruota e da cui è abbracciata, dalla prima all’ultima nota». Myungwhun Chung è musicista che misura le parole e ancor più i giudizi, ma per il doge che da stasera alla Scala avrà la voce e il volto di Leo Nucci il tono diviene deciso e appassionato: «Simon Boccanegra» è l’opera con cui nel 2014 ha vinto il premio Abbiati della critica italiana come miglior direttore dell’anno, nel 2016 è stato il primo titolo di Verdi che ha affrontato alla Scala e subito portato in tournée al Bol’šoj di Mosca, nella sua Seoul e a Shanghai. Nessuno oggi conosce e interpreta meglio del maestro coreano l’opera che Verdi scrisse per la Fenice nel 1857 e poi rivisitò nel 1881 per la Scala, col libretto di Piave rimaneggiato da Boito.
«Sono passati 29 anni dalla prima volta che l’affrontai: un grande cast in cui troneggiavano Sherrill Milnes e l’Amelia di Kiri Te Kanawa. Che cosa capisco oggi che allora non avevo ancora intuito? Tanto, ma è forse impossibile specificare momenti, cerchiare dettagli. Si cambia e si matura, ma comunque, alla fine, l’impressione davanti a un tale capolavoro è che trent’anni di convivenza non siano ancora sufficienti per capirlo fino in fondo». La parola convivenza non è casuale, definisce esattamente il suo rapporto col «Simone»: «La scena del
Incipit «È straordinario come tutta l’opera sia già racchiusa nelle primissime battute»
Feeling «Guidare la Filarmonica è un piacere puro, c’è un’intesa totale, non servono parole»
consiglio è impressionante per tensione, passione e grandiosità, ma dopo trent’anni non ho ancora capito quale sia il momento o l’elemento che mi piace di più di quest’opera; è un po’ come chiederlo della moglie: ti piace e la prendi così com’è, allo stesso modo amo quest’opera tutta quanta, in ogni suo aspetto». Non può però non confessare l’emozione di alzare la bacchetta sulle prime note, mentre si apre il sipario: «È straordinario come Verdi rie- sca a riassumere tutta l’opera nelle primissime battute; non la trama, ma lo spirito: ascoltiamo l’orchestra e abbiamo la percezione quasi fisica della compresenza di tre elementi, la notte fonda, il senso di mistero e d’intrigo, il mare».
Soprattutto quest’ultimo è l’elemento che percorre e dà un colore inconfondibile all’opera: «Il mare è sempre a pochi passi, incombe col suono della risacca e con il suo profumo; e qui alla Scala anche col suo canto». Perché in buca c’è l’orchestra che Chung adora: «Suoniamo assieme da 29 anni, lo stesso periodo della frequentazione col Simone. Ci sono tante orchestre con cui il dirigere è un lavoro, si arriva a risultati buoni o anche ottimi ma rimane comunque un lavoro. Qui invece è piacere puro, c’è un’intesa totale e quasi non servono parole; gli strumenti cantano in modo naturale: la melodia non è mai un effetto ricercato ma un canto interiore che riesce sempre a tradursi in suono d’orchestra. È un miracolo tutto scaligero».