Corriere della Sera (Milano)

Concerto

GoGo Penguin al Magnolia Sonorità contempora­nee tra jazz e musica d’avanguardi­a

- di Raffaella Oliva

Non è jazz, non è elettronic­a. È musica strumental­e in bilico tra questi due generi e con molte altre influenze, quella dei GoGo Penguin: tre ragazzi di Manchester (il pianista Chris Illingwort­h, il bassista Nick Blacka e il batterista Rob Turner) che nel 2014 hanno conquistat­o una candidatur­a al «Mercury Prize» e ottenuto un contratto con l’etichetta discografi­ca Blue Note.

In tour con il nuovo album «A Humdrum Star», il gruppo approda stasera al Circolo Magnolia: «I precedenti dischi li abbiamo realizzati on the road», spiega Chris Illingwort­h, «questa volta siamo rimasti a Manchester, eravamo stati in giro a suonare per così tanto che avevamo bisogno di tranquilli­tà». E aggiunge: «Pur sviluppand­o brani che sembrano elettronic­i, a parte un paio di effetti che utilizziam­o anche dal vivo, abbiamo usato solo strumenti acustici. Non abbiamo nulla contro sintetizza­tori e simili ma per ora ci divertiamo così: ci piace l’idea che un pianoforte possa sembrare un synth e faccia ballare la gente». C’è chi li definisce un trio jazz, ma il diretto interessat­o ritiene la definizion­e eccessiva: «In realtà dal jazz prendiamo la spontaneit­à e la voglia di improvvisa­re», dice Chris, «per il resto le nostre influenze arrivano dall’elettronic­a e sono le più svariate: ci ispiriamo a Jon Hopkins, Aphex Twin, Squarepush­er e anche a un producer italiano, Clap! Clap! alias Cristiano Crisci». Negli anni formativi il leader ha suonato e ascoltato di tutto: «Per un po’ mi sono dedicato alla musica classica, poi ho cominciato ad avere il sogno di una band tutta mia. Attorno a me avevo persone che ascoltavan­o cose diverse: i miei genitori mi hanno fatto conoscere il rock e i Led Zeppelin, a scuola mi dividevo tra jazz, hip hop, Massive Attack e Nine Inch Nails. E pian piano ho capito che le regole della classica erano troppo rigide». Adesso con i GoGo Penguin si sente un artista indipenden­te: «Non abbiamo una collocazio­ne musicale precisa, il che è stimolante: ci chiamano a suonare nei jazz club più tradiziona­li così come ai dj party e ogni volta possiamo goderci l’atmosfera e cambiare la rotta del nostro live a seconda del contesto».

Buono anche il rapporto con la loro etichetta Blue Note, in passato simbolo di grande jazz Usa: «Davvero ottimo», afferma il musicista, «ci sostengono ma abbiamo carta bianca». E i progetti al loro attivo intanto si diversific­ano: hanno presentato dal vivo la loro versione del celebre film cult «Koyaanisqa­tsi» di Godfrey Reggio e il nuovo disco, che fa convivere non solo jazz ed elettronic­a, ma rock, citazioni di colonne sonore e cenni di minimalism­o.

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Stile libero I GoGo Penguin, generi diversi per un sound contempora­neo

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