Marcorè fa incontrare De André e Pasolini
Neri Marcorè incrocia sul palco la lezione di due maestri «Viaggiatori in direzione ostinata e contraria»
«Non sono sparite tutte le lucciole, anzi molte sono tornate nonostante la biblica profezia di Pasolini, figura irripetibile. Alla fine dal palco invito, dopo aver trasmesso tanta ansia, a sperare e a cercare un po’ di silenzio, fuori dalla mischia delle parole per guardare il mondo». Lo dice Neri Marcorè nel suo nuovo spettacolo di teatro canzone «Quello che non ho» in cui incrocia le valenze chimiche dei percorsi delle canzoni di Fabrizio De André (in particolare dall’album «Le nuvole») e delle apocalittiche profezie pasoliniane uscite sul «Corriere della Sera» nel 1974-75, la «nuova orrenda preistoria» oggi realtà: «si parla delle banche e della casta, sembra scritto ieri». In questo show il mondo non ci fa una gran bella figura: «Ci serviamo dei due autori, sfidando un gioco di contrapposizione ma anche di storie emblematiche, parabole del presente. Viaggiando in “direzione ostinata e contraria” raccontiamo lo sfruttamento, il degrado e quell’enorme Atlantide fatta di rifiuti non degradabili di plastica, grande due volte l’Italia, 700.000 km quadrati, che galleggia al largo delle Hawaii; di quella storia grottesca ma vera anni 90, l’interrogazione parlamentare, ben pagata, sulla scomparsa di Clarabella, la fidanzata di Topolino, dai gadget dell’acqua minerale, 637 giorni di lavoro».
Sempre in equilibrio delicato su una realtà che pare incredibile, lo spettacolo nasce da «Scritti corsari» per un caso. Un giorno di 20 anni fa in cui Marcorè andò a Napoli a sentire De André avendo appena letti i pezzi pasoliniani: «Così scopro un mondo parallelo incredibile fatto di considera- zioni politico antropologiche. Dalla vicinanza casuale dei loro pensieri si apre una finestra che guarda all’oggi: ecologia, rifiuti tossici fatti sparire dalle mafie al Sud, lo sfruttamento dei lavoratori in Africa, la prostituzione, la guerra, ogni forma d’illegalità». Fra cambi di ritmo, registro, autori, il reci- tal va in cerca di idee e di ideali e scopriremo che è un topo che sta raccontando la favola degli uomini del 2000 che vivono su una Terra che rischia di essere sommersa dai rifiuti. «E faccio una riflessione sulla politica che non ha mai saputo dare risposte sul fatto che Italia è stato un grande paese negli anni 60, con progetti esposti al MoMa come la Ferrari e la Olivetti. Potremmo tornar grandi ma c’è abbassamento generale del gusto causato dalla tv. E alla fine parlo delle famose lucciole che sono tornate, quindi anche i profeti a volte sbagliano. C’è speranza ma non viene dal cielo bensì da noi: si può invertire la rotta, avere coscienza critica, dipende dalla capacità di riflettere, riemergendo da un mare di sciocchezze». Quale filo rosso lega De André e Pasolini? «L’onestà intellettuale, il guardare il mondo senza pregiudizi, con critica e auto critica ma senza opportunismi. Dicevano quello che pensavano, infischiandosene delle reazioni: una merce rara oggi, il contrario del populismo». Il pubblico non si sconforta, ma scopre, reagisce e applaude: «Gli schiaffi e i pugni nello stomaco arrivano tutti, poi non so quanto resista l’indignazione o se alla fine vinca poi sempre andare a fare shopping».