Spot, fiction e cinema Cresce la città-vetrina
Produzioni in aumento dal 2012
Milano e il cinema. Un rapporto d’amore fin dalla «na- scita». Lo dicono i numeri (da record): oltre tremila set in sei anni, 614 soltanto nel 2017. Duomo, Galleria, Scala e Palazzo Reale sono le zone predilette da registi, fotografi e operatori cinematografici e televisivi. Professionisti italiani così come stranieri: tra le produzioni estere, l’anno scorso, svettano quelle giapponesi. C’è l’arte e ci sono anche i guadagni: l’utilizzo dell’immagine della città ha un costo solo per le produzioni a uso commerciale, quali gli spot pubblicitari e i servizi di moda. Un boom che negli ultimi sei anni ha permesso al Comune di incassare oltre mezzo milione di euro.
La metropoli è un grande set. Il cinema ne scova la bellezza magnetica, anticipa il cambiamento. A essere scelte come scenografie naturali non ci sono soltanto le guglie del Duomo, quelle dei manifesti pubblicitari che negli anni Ottanta titolavano «Milano da bere...». Tra i luoghi prediletti da registi, fotografi e operatori cinematografici e televisivi di tutto il mondo ci sono la Galleria, Palazzo Reale e adesso anche piazza Gae Aulenti, a Porta Nuova.
Si può raccontare la città attraverso i dati di chi chiede il benestare per piazzare la macchina da presa nei luoghi più prestigiosi: in sei anni la metropoli ha ospitato oltre tremila set. Le autorizzazioni richieste sono salite a quota 614 dalle 437 del 2012. Talora è la cultura (Piano City) ad influenzare la pubblicità, ed ecco in uno spot spuntare un pianoforte a coda davanti al teatro Burri al Sempione. «Mi piace lo spot che inquadra San Lorenzo da dietro, dal Parco delle basiliche nella versione estiva con i papaveri in primo piano, e altre riprese della città un po’ moderna e un po’ storica, più anonime ma numerose — commenta la Soprintendente alle Belle Arti, Paesaggio e Beni Archeologici, Antonella Ranaldi —. Veicolano nella pubblicità il messaggio di una città dove si vive bene, che è come molti vedono Milano oggi, soprattutto chi viene da fuori».
Non vengono scelti solo i luoghi monumentali. Oltre alla Galleria e al Duomo, «sempre più brani della città, inclusa la Stazione Centrale e l’Arco della Pace, fanno da sfondo a spot di pubblicità televisiva, com’era ai tempi della pubblicità del noto liquore “contro il logorio della vita moderna”», aggiunge Ranaldi.
Tra le produzioni estere, nel 2017 svettano quelle giapponesi (undici in un anno) che contribuiscono a fare del documentario scientifico o culturale la tipologia di prodotto più diffusa, seguita dalla categoria «serie tv, fiction e talk show». La moda, con i video, nella classifica delle produzioni estere si piazza al terzo posto. Ma è al primo per le riprese in spazi pubblici.
Un bilancio che vede rosa: la città ha ospitato set per la realizzazione di 21 documentari e 74 riprese cinematografiche e televisive. Qui si sono trasferite produzioni britanniche, francesi, malesi. E sono arrivati registi da Singapore e Marocco, Olanda, Svizzera e Svezia per realizzare ben 18 lavori per serie tv, fiction e talk show, 15 per set fotografici di moda, 14 per video di moda e 6 per film e lungometraggi.
Se nell’autunno 2010 rimbalzò sulle cronache la presenza del cast arruolato per «Happy Family» di Gabriele Salvatores per le strade della città, oggi i milanesi sembrano aver fatto l’abitudine a questa pacifica invasione di attori, comparse, troupe. Perché Milano è anche una fabbrica di storie, come il cinema è una fabbrica di sogni. Riavvolgendo il film della memoria, c’è chi ancora ricorda l’attrice romana Giovanna Ralli, che fu catapultata sotto la Madonnina nel 1963, per girare il film di Carlo Lizzani tratto da un grande successo di Luciano Bianciardi, «La vita agra». Coprotagonista con Ugo Tognazzi nei panni dell’anarchico Luciano venuto a Milano per far saltare il Pirellone (ribattezzato il «torracchione»).
Infine, l’utilizzo dell’immagine della città ha un costo solo per le produzioni ad uso commerciale, quali gli spot pubblicitari e i servizi di moda. In sei anni il Comune ha incassato oltre mezzo milione di euro. Non pagano nulla le produzioni di film, fiction e documentari, le esercitazioni delle scuole di cinema e tv e la pubblicità progresso.