Tempo di Libri
La passione per la letteratura nella corrispondenza inedita tra Gadda e il bibliofilo Vigevani
Alberto Vigevani, che Tempo di Libri ricorda oggi in un incontro con Isabella Bossi Fedrigotti e Giangiacomo Schiavi in occasione del centenario della sua nascita (Fieramilanocity, ore 20, Sala Amber 3, ingresso 10 euro, Gate 4 e 5) è stato il «narratore» di Milano, «lo scrittore più milanese dell’ultimo mezzo secolo» scrisse Orio Vergani. Lo è nei capitoli di Milano
ancora ieri, di All’ombra di mio padre, Le foglie di San Siro, Un certo Ramondès (Milano alla vigilia della guerra con i caffè della fronda antifascista), La breve passeggiata, con zio Giorgetto che, vive fra piazza Aquileia e via San Michele del Carso, prima di entrare a San Vittore dov’è prigioniera la moglie.
Vigevani (1918-1999) apparteneva alla Milano degli scrittori-topografi, quella de L’incendio di via Keplero di Gadda,
Il ponte della Ghisolfa di Giovanni Testori, La vita agra di Bianciardi e Un amore di Buzzati. Era un intellettuale che credeva nell’industria culturale e nel rapporto tra scrittori e impresa; era legato a «Corrente», del banchiere Raffaele Mattioli, e a figure come quelle di Vittorio Sereni, Antonello Gerbi e Sergio Solmi, ovvero figure di scrittori-lavoratori.
Con culto elzeviristico, Vigevani narrava una Milano già cancellata negli anni Cinquanta e Sessanta, una città di tracce: il Verziere, il «padre Naviglio», «i barconi grigi», i salici del giardino Visconti, la Sala corse in piazza Cordusio, il cinema Volta, una città modernissima e ora scomparsa o in attesa di post-identità. Amava le strade del centro sempre «leggermente in curva», il «naso polputo» di Carlo Emilio Gadda «che troneggiava arcimboldescamente come una pera o una melanzana». Era libraio antiquario e dalle stanze della sua casa editrice, Il Polifilo di via Borgonuovo, diede alle stampe anastatiche di grandi classici spe- cie dell’arte e dell’architettura.
Le sue lettere con Gadda, oltreché con Montale e altri, sono depositate presso il Centro Apice dell’Università Statale di Milano. In alcune di queste missive, inedite, Vigevani si trova alle prese con analoghi problemi proprio con Gadda – una corrispondenza che inizia nel ’43 – come con un altro mostro-sacro della cultura, Eugenio Garin. Gadda, in una lettera del dicembre ’65, ad esempio, prende tempo su una introduzione per la nuova «geniale e preziosa» collana del Polifilo su Milano. I due si scambiano, negli anni, intuizioni, recensioni, notizie su acquisti di libri e il 4 agosto ‘66, da Roma, Gadda scrive ancora a Vigevani: «Penso alla tua biblioteca proustiana, ai tuoi bei libri, al tuo ingegno… Vorrei rivederti e parlarti a lungo»: quasi una dichiarazione d’amore…
Anche con Garin le memorie sono quelle di uno straordinario amatore dei libri che è arrivato a creare una collana di Documenti sulle arti del libro. Per questa collana Garin gli aveva promesso un saggio sui dotti bizantini che non gli consegnò. In un’altra collana ancora del Polifilo, dedicata ai Classici di scienze e tecniche nella direzione auspicata da Carlo Cattaneo, Vigevani si era mostrato uomo di «rara penetrazione storiografica», scrive Garin, lanciando «opere difficili da trovare, rilevanti per la storia dell’arte, come quelle di Leon Battista Alberti».
Vigevani fece tante cose: libraio antiquario, scrittore, poeta, attivista culturale e oggi, nel suo centenario, ci sarà modo di ricordarle… Si potrebbe dire che, come molti uomini di grande passione, da ragazzo fu «vago e incostante» negli studi (lo si disse anche di Winckelmann). Questo è tipico di chi ha passione… Fu così che si fece strada da sé, diventò amico di Ernesto Treccani, Alberto Mondadori e Alberto Lattuada, recitò come attore ne I ragazzi della
via Paal, si mise a leggere moltissimo, ad andare a teatro, scrivere recensioni e vinse, beato lui, il Premio Bagutta… Scrisse intense poesie liriche pubblicate da Einaudi con il titolo L’esistenza: «Vivo, lo so / di ciò che non ho / a volte persino / di ciò che non è».Una volta, al critico letterario Cesare Segre chiesero quale fosse il campo in cui Vigevani eccelleva: «Dava il meglio in se stesso – rispose –. Era un piccolo capolavoro».