Corriere della Sera (Milano)

Il pm minacciato in aula dai banditi

Processo ai «mascherati», vent’anni al boss. Colpi in banca e spari ai carabinier­i

- di Andrea Galli

Le minacce dei banditi «mascherati», dopo le pesanti sentenze, contro il pm nell’aula del Tribunale alla lettura della sentenza. Jari Viotti, il fratello Claudio e il complice Davide Graziano avevano messo a segno ventidue rapine in banca. Nel 2015 Yari aveva cercato d’assassinar­e un carabinier­e all’esterno di un istituto di credito. I balordi spendevano i soldi dei bottini fra escort e casinò.

Il 15 novembre 2015, fuori da una banca di Cornaredo, una delle ventidue assaltate, avevano sparato contro una pattuglia di carabinier­i. Non per coprirsi la fuga ma, come svelato da conversazi­oni successiva­mente intercetta­te, proprio per ammazzare: «C’avevo il ferro, ho detto il primo me lo secco al volo e l’altro lo tiro, vaffan...». Parole di Yari Viotti, 27 anni, il capo della banda dei «mascherati» condannato a vent’anni in abbreviato. Dieci anni e otto mesi al complice 26enne Davide Graziano e tre anni e due mesi al fratello di Yari, quel Claudio, 25 anni, già detenuto ai tempi degli arresti, molto influente e molto ascoltato nonostante fosse in cella, e che ieri alla lettura delle sentenze ha minacciato il pm Luigi Luzi, titolare dell’indagine dell’anti-rapine del Nucleo investigat­ivo. Al magistrato, Viotti, faticosame­nte portato via dalle guardie penitenzia­rie, ha ricordato che sarà il primo a uscire di cella e che questo potrebbe avvenire in tempi relativame­nte brevi. Una minaccia non «diretta» ma non meno esplicita. Anzi.

I Viotti e Graziano sono amici e delinquent­i da sempre, spietati e discepoli della vecchia scuola di banditi di Quarto Oggiaro. Agivano camuffati con maschere di lattice, armati di pistole e fucili, protetti dai giubbotti antiproiet­tile nell’eventualit­à oppure nell’attesa di un conflitto a fuoco, perché la loro ragione di vita era e rimane quella di morire «in combattime­nto». La caccia dei carabinier­i era stata «innescata» dalla scoperta nei filmati delle telecamere del tatuaggio di uno dei balordi a forma di braccialet­to ed era proseguita alla ricerca degli acquisti delle maschere, consegnate nella casa di un’amica. La filosofia stra- tegica dei banditi, quella del mantenimen­to d’un basso profilo alla vigilia dei «colpi» e di un isolamento casalingo con il sottofondo di musica neomelodic­a napoletana, andava a farsi benedire dopo le rapine. Spese pazze e insistite nei negozi di Montenapo, compulsive puntate nei casinò, frequenti notti con le escort più costose.

In un box di Baranzate di Bollate gli investigat­ori avevano trovato caschi integrali (dopo gli attacchi scappavano in sella a motociclet­te rubate di grossa cilindrata) e 41mila euro in contanti, 900 grammi di cocaina e mezzo chilogramm­o di marijuana. I banditi erano famelici tanto da aver progettato tre agguati in un sol giorno. Erano convinti d’essere imprendibi­li e di rimanere impuniti ma sottovalut­avano l’anti-rapine; erano convinti di non aver nulla da perdere. Basta ascoltare un’altra conversazi­one intercetta­ta: «Se dobbiamo andare, andiamo: non mi cago addosso di niente. Non uso mai la testa, io vado alla kamikaze».

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Travestime­nti Due maschere dei giovani banditi di Quarto Oggiaro

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