Il pm minacciato in aula dai banditi
Processo ai «mascherati», vent’anni al boss. Colpi in banca e spari ai carabinieri
Le minacce dei banditi «mascherati», dopo le pesanti sentenze, contro il pm nell’aula del Tribunale alla lettura della sentenza. Jari Viotti, il fratello Claudio e il complice Davide Graziano avevano messo a segno ventidue rapine in banca. Nel 2015 Yari aveva cercato d’assassinare un carabiniere all’esterno di un istituto di credito. I balordi spendevano i soldi dei bottini fra escort e casinò.
Il 15 novembre 2015, fuori da una banca di Cornaredo, una delle ventidue assaltate, avevano sparato contro una pattuglia di carabinieri. Non per coprirsi la fuga ma, come svelato da conversazioni successivamente intercettate, proprio per ammazzare: «C’avevo il ferro, ho detto il primo me lo secco al volo e l’altro lo tiro, vaffan...». Parole di Yari Viotti, 27 anni, il capo della banda dei «mascherati» condannato a vent’anni in abbreviato. Dieci anni e otto mesi al complice 26enne Davide Graziano e tre anni e due mesi al fratello di Yari, quel Claudio, 25 anni, già detenuto ai tempi degli arresti, molto influente e molto ascoltato nonostante fosse in cella, e che ieri alla lettura delle sentenze ha minacciato il pm Luigi Luzi, titolare dell’indagine dell’anti-rapine del Nucleo investigativo. Al magistrato, Viotti, faticosamente portato via dalle guardie penitenziarie, ha ricordato che sarà il primo a uscire di cella e che questo potrebbe avvenire in tempi relativamente brevi. Una minaccia non «diretta» ma non meno esplicita. Anzi.
I Viotti e Graziano sono amici e delinquenti da sempre, spietati e discepoli della vecchia scuola di banditi di Quarto Oggiaro. Agivano camuffati con maschere di lattice, armati di pistole e fucili, protetti dai giubbotti antiproiettile nell’eventualità oppure nell’attesa di un conflitto a fuoco, perché la loro ragione di vita era e rimane quella di morire «in combattimento». La caccia dei carabinieri era stata «innescata» dalla scoperta nei filmati delle telecamere del tatuaggio di uno dei balordi a forma di braccialetto ed era proseguita alla ricerca degli acquisti delle maschere, consegnate nella casa di un’amica. La filosofia stra- tegica dei banditi, quella del mantenimento d’un basso profilo alla vigilia dei «colpi» e di un isolamento casalingo con il sottofondo di musica neomelodica napoletana, andava a farsi benedire dopo le rapine. Spese pazze e insistite nei negozi di Montenapo, compulsive puntate nei casinò, frequenti notti con le escort più costose.
In un box di Baranzate di Bollate gli investigatori avevano trovato caschi integrali (dopo gli attacchi scappavano in sella a motociclette rubate di grossa cilindrata) e 41mila euro in contanti, 900 grammi di cocaina e mezzo chilogrammo di marijuana. I banditi erano famelici tanto da aver progettato tre agguati in un sol giorno. Erano convinti d’essere imprendibili e di rimanere impuniti ma sottovalutavano l’anti-rapine; erano convinti di non aver nulla da perdere. Basta ascoltare un’altra conversazione intercettata: «Se dobbiamo andare, andiamo: non mi cago addosso di niente. Non uso mai la testa, io vado alla kamikaze».