OPPOSIZIONE MESTIERE INGRATO
Non è facile trovare il coraggio di ricominciare dopo una sconfitta che brucia e riuscire ad essere ancora un riferimento agli occhi dei propri elettori delusi. Per questo ogni volta che un candidato perdente si rimette in gioco accettando di sedersi sul banco scomodo dell’opposizione viene spontaneo apprezzarne il tentativo, ricordando che in passato sono stati più i fallimenti dei successi. «Sento la responsabilità di impostare un nuovo progetto di opposizione in Regione», ha detto tre giorni fa Giorgio Gori, tornato sulla poltrona di sindaco di Bergamo, mentre sventola la bandiera della Lega e del centrodestra sulla Lombardia. Ripartire dall’opposizione è un atto di coerenza e di umiltà che risponde alle regole dell’alternanza e anche un modo per trovare sul campo la forza della rivincita, per uno schieramento o per l’altro: la politica non è una formula chimica ma un esercizio che si fa giorno dopo giorno, presenziando alle sedute del consiglio, presidiando i territori, presentando proposte e progetti, contrastando le idee sbagliate e difendendo quelle giuste, che sono poi quelle che tutelano il cittadino. Purtroppo l’opposizione è un’entità assente da anni nel palazzi della politica. In Regione e in Comune non ha voce e se ce l’ha, è una voce debole, qualche volta stonata. È un’opposizione dispersa nell’irrilevanza dei nuovi regolamenti, frantumata e senza leader.
Stefano Parisi, che nel 2016 aveva conteso fino all’ultimo voto la vittoria del sindaco Sala, è scomparso dai radar di Palazzo Marino e si è presentato a seicento chilometri di distanza per sfidare Zingaretti alla guida del Lazio. In Regione Umberto Ambrosoli, che nel 2013 sfiorò la maggioranza contro Roberto Maroni, ha resistito poco più di due anni ed è tornato al suo lavoro di avvocato e al ruolo di presidente della Bpm. Restano i cinquestelle, che si inseriscono nei vuoti lasciati dai due principali schieramenti, ma in questi anni è stato difficile attribuire anche a loro un volto e un programma. Eppure un’opposizione ci vuole per evitare pericolosi consociativismi o derive: serve in Regione dove la sanità in passato è stata merce di scambio e non di etica e visioni differenti, serve in Comune dove gli affari immobiliari vanno monitorati per le conseguenze che possono avere sull’assetto urbano e sulla vivibilità. È difficile ricordare in questi anni, al di là dei radicali e dei cinquestelle, iniziative forti dell’opposizione in Regione. È più facile ricordare la dissoluzione dei vari leader che hanno sfidato il regno di Formigoni, da Masi a Martinazzoli a Penati: poche tracce e qualche accordo per non essere del tutto fuorigioco, come nel caso dell’area Falck di Sesto San Giovanni e della Città della salute, dove Cl e Pd hanno blindato un’intesa di ferro per il trasferimento di Istituto dei tumori e Besta, nonostante le critiche dell’assessore De Cesaris e della giunta Pisapia. Ben venga il tentativo di opposizione di Giorgio Gori, se ci sarà, in Regione. Come ben venga il controllo di leghisti e Forza Italia sul Comune. In un Paese dove tutti corrono sul carro del vincitore è necessario distinguersi e non appiattirsi su chi usa le leve del comando. I cinquestelle dimostrano che l’opposizione può diventare maggioranza quando una quota di cittadini non si sente più rappresentata oppure è delusa da chi ha lanciato una sfida e poi ha abbandonato il campo.