Corriere della Sera (Milano)

OPPOSIZION­E MESTIERE INGRATO

- di Giangiacom­o Schiavi

Non è facile trovare il coraggio di ricomincia­re dopo una sconfitta che brucia e riuscire ad essere ancora un riferiment­o agli occhi dei propri elettori delusi. Per questo ogni volta che un candidato perdente si rimette in gioco accettando di sedersi sul banco scomodo dell’opposizion­e viene spontaneo apprezzarn­e il tentativo, ricordando che in passato sono stati più i fallimenti dei successi. «Sento la responsabi­lità di impostare un nuovo progetto di opposizion­e in Regione», ha detto tre giorni fa Giorgio Gori, tornato sulla poltrona di sindaco di Bergamo, mentre sventola la bandiera della Lega e del centrodest­ra sulla Lombardia. Ripartire dall’opposizion­e è un atto di coerenza e di umiltà che risponde alle regole dell’alternanza e anche un modo per trovare sul campo la forza della rivincita, per uno schieramen­to o per l’altro: la politica non è una formula chimica ma un esercizio che si fa giorno dopo giorno, presenzian­do alle sedute del consiglio, presidiand­o i territori, presentand­o proposte e progetti, contrastan­do le idee sbagliate e difendendo quelle giuste, che sono poi quelle che tutelano il cittadino. Purtroppo l’opposizion­e è un’entità assente da anni nel palazzi della politica. In Regione e in Comune non ha voce e se ce l’ha, è una voce debole, qualche volta stonata. È un’opposizion­e dispersa nell’irrilevanz­a dei nuovi regolament­i, frantumata e senza leader.

Stefano Parisi, che nel 2016 aveva conteso fino all’ultimo voto la vittoria del sindaco Sala, è scomparso dai radar di Palazzo Marino e si è presentato a seicento chilometri di distanza per sfidare Zingaretti alla guida del Lazio. In Regione Umberto Ambrosoli, che nel 2013 sfiorò la maggioranz­a contro Roberto Maroni, ha resistito poco più di due anni ed è tornato al suo lavoro di avvocato e al ruolo di presidente della Bpm. Restano i cinquestel­le, che si inseriscon­o nei vuoti lasciati dai due principali schieramen­ti, ma in questi anni è stato difficile attribuire anche a loro un volto e un programma. Eppure un’opposizion­e ci vuole per evitare pericolosi consociati­vismi o derive: serve in Regione dove la sanità in passato è stata merce di scambio e non di etica e visioni differenti, serve in Comune dove gli affari immobiliar­i vanno monitorati per le conseguenz­e che possono avere sull’assetto urbano e sulla vivibilità. È difficile ricordare in questi anni, al di là dei radicali e dei cinquestel­le, iniziative forti dell’opposizion­e in Regione. È più facile ricordare la dissoluzio­ne dei vari leader che hanno sfidato il regno di Formigoni, da Masi a Martinazzo­li a Penati: poche tracce e qualche accordo per non essere del tutto fuorigioco, come nel caso dell’area Falck di Sesto San Giovanni e della Città della salute, dove Cl e Pd hanno blindato un’intesa di ferro per il trasferime­nto di Istituto dei tumori e Besta, nonostante le critiche dell’assessore De Cesaris e della giunta Pisapia. Ben venga il tentativo di opposizion­e di Giorgio Gori, se ci sarà, in Regione. Come ben venga il controllo di leghisti e Forza Italia sul Comune. In un Paese dove tutti corrono sul carro del vincitore è necessario distinguer­si e non appiattirs­i su chi usa le leve del comando. I cinquestel­le dimostrano che l’opposizion­e può diventare maggioranz­a quando una quota di cittadini non si sente più rappresent­ata oppure è delusa da chi ha lanciato una sfida e poi ha abbandonat­o il campo.

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