«Anche un forestiero può difendere la tradizione»
«Chi vive un territorio è custode della sua tradizione, non importa che si chiami Brambilla o Ahmed». Lo chef Giancarlo Morelli dal suo ristorante Pomiroeu (una stella Michelin) a Seregno non si scandalizza per il fatto che un brianzolo si dedichi alla cucina ligure e vinca pure un premio.
Chef, che fine fa la trippa se i lombardi pensano al pesto genovese?
«È un segno dei tempi. Le contaminazioni sono sempre più frequenti. Ormai le migliori pizze le fanno i magrebini. Ma è importante lavorare perché le tradizioni di ciascuna area geografica sopravvivano».
Chi ha il compito di portarle avanti?
«Chi abita un territorio, anche se è “migrante”. Abbiamo una grande varietà culturale in Italia e dobbiamo essere capaci di esserne protettori».
La trippa affidata a chi non è bauscia?
«Perché no. Magari un domani mangeremo la migliore trippa al mercato, preparata da un cuoco di origini nigeriane».
Non vanno perse le ricette originali con il passaggio di testimone tra culture diverse?
«Con le proprie conoscenze si possono apportare delle modifiche migliorative, nel rispetto dell’impianto di base. D’altronde tutte le ricette vanno aggiornate perché i contemporanei le possano apprezzare».
Come e cosa va salvato della cucina brianzola?
«Per prima cosa il riso alla monzese. Importante il brodo, che può essere anche vegetale. La quantità di burro può essere ridotta per non rendere il piatto troppo pesante. Sulla salsiccia bianca però non si transige, un po’ come per le verze della cassoeula». Non è troppo pesante per i gusti dei clienti?
«È un piatto per tutti se fatto bene. Certo non si può pensare di cucinarla come cent’anni fa: per salvarla va modernizzata. Le costine e la cotenna devono essere sbollentate e sgrassate, non siamo più abituati al grasso. Imprescindibile la verza che deve aver preso una gelata e i verzini grossi come un dito. Così diventa “indolore” per qualsiasi stomaco».