TUBERCOLOSI, PREVENZIONE E QUELLE CERTEZZE DA RIVEDERE
Caro Schiavi, poco più di tre mesi fa a mio figlio, studente universitario, è stata diagnosticata la tubercolosi. Immediatamente ricoverato all’ospedale Sacco (al cui staff medico e infermieristico dell’unità di Pneumologia mi lega un sentimento di stima e gratitudine) e lì iniziata la cura, è scattato un allarme che ci ha davvero stupiti.
Dall’ospedale parte infatti una denuncia, l’Asl contatta la famiglia, gli amici, la fidanzata, la famiglia della fidanzata, le persone con le quali l’ammalato ha passato una settimana in agosto (il tutto è partito all’inizio di dicembre), a tutti viene fatto un primo screening con il test «Mantoux»; poi, se a questo si è positivi si passa a Villa Marelli, l’unità regionale per la tubercolosi, dove si fanno particolari esami del sangue, esami delle urine, una lastra e poi, se si riscontra uno stato di Tbc latente, parte una profilassi con antibiotici che dura mesi, sempre con controlli del sangue, lastre e così via. Tralasciando il malato, tutti coloro che sono stati a contatto devono fare almeno due tornate di esami, e poi di nuovo se si sospetta che il contatto sia stato più profondo. E meno male, dico io. Tutto questo è da apprezzare enormemente. Ma… se uno screening venisse fatto a monte? Tutti i sanitari con cui abbiamo parlato ci hanno detto che se ci fosse un monitoraggio più pressante — come quello che esisteva una volta (io sono insegnante e ricordo i test e le lastre che decenni fa, quando iniziai a lavorare, dovevo effettuare) —, forse la situazione potrebbe essere diversa. I numeri della Tbc in Italia non sono in grande aumento. Ma noi abbiamo trovato tante persone che l’hanno avuta. La realtà è che questa malattia è molto più diffusa di quanto si pensi, è subdola e può procedere in modo quasi del tutto silenzioso per mesi, e in questo modo silenzioso essere trasmessa. Quando passi ore a Villa Marelli, vedi italiani e molti, molti di origine straniera. Sia chiaro, in quello che sto scrivendo non c’è nessuna sfumatura razzista. E al di là delle migrazioni, esiste una Tbc che non se n’è mai andata.
Non è il caso che si spinga fortemente per una riconsiderazione della scelta di abbandonare uno screening di massa?
D. M.
Gentile signora, un testimonianza che fa riflettere, alla quale aggiungo le considerazioni di altri medici: più controlli e più prevenzione. Su quel che si credeva debellato è possibile ricredersi.
gschiavi@rcs.it