Strehler a fumetti
Aneddoti e protagonisti: come andò in scena «L’opera da tre soldi» Una graphic novel racconta il primo allestimento del capolavoro di Brecht al Piccolo Teatro nel 1956
Il febbraio milanese del 1956 assomigliava a quello che abbiamo avuto quest’anno: neve, cielo livido, freddo. Hanno freddo la piazza del Duomo, la Galleria, piazza Cordusio, lo zoo, via Manin e Rovello e gli ingressi dei teatri: ci fu la nevicata del secolo (superata da quella del 1985). Si rivede Milano nel bianco e nero della originale graphic novel «Giorgio Strehler. Un fumetto da tre soldi» (Becco Giallo, pp. 192, € 19) con cui Davide Barzi e Claudio Riva ripercorrono, fedelissimi, la storia del primo allestimento al Piccolo dell’«Opera da tre soldi», addì 10 febbraio 1956, mentre Alessandro Ambrosoni disegna, senza badare troppo alla somiglianza fisica (a parte Carotenuto, primo Peachum, e Milly, prima Jenny delle Spelonche), i personaggi famosi. Non solo il grande regista, già fumetto in vita con la divisa nero esistenziale a collo alto e il suo super io debordante e geniale; gli attori e poi Grassi, la Vinchi e i collaboratori, oltre a Herr Brecht con la famiglia in visita in Italia, fino al parrucchiere di fiducia Benito (l’azzurro turchino della capigliatura del regista non fu un’invenzione, ma solo un errore finito bene).
Diverte rivedere una storia nota, con l’inizio da spy story con Strehler che arriva armato di 27 basilari domande teatrali nella Berlino comunistissima, disegnata come fosse (e lo fu) una grande avventura intellettuale politica, mentre sembra di sentire le canzoni di Kurt Weill che escono anche dalla proboscide di Bombay, l’elefantessa dello zoo, la star. Fatti rispettati, anche nelle piccole manie e tic, l’ira di Grassi per i ritardi e Strehler che in prova recitava sempre lui, ma anche con particolari curiosi come Brecht che in partenza consegna a Carotenuto il copione del Galileo, investendolo del ruolo che poi avrà Buazzelli. Poche disattenzioni, come quella che data Arlecchino al 1952, mentre è in scena dal ‘47, ma la storia teatrale è ricca di suggestioni e non fa sconti anche agli impegni del maestro che aprì allora la Piccola Scala col «Matrimonio segreto» nel giorno, il 26 dicembre, in cui per tradizione si inaugurava la Scala poi anticipato al 7, sant’Ambrogio.
Il disegno secco e stilizzato, poco incline all’identificazione dei volti, ricrea bene l’atmosfera del tempo, anche in una sua dimensione di me- moria un po’ astratta con quelle luci del teatro nella nebbia made in Milano. E le testimonianze in coda di illustri testimoni (da Giancarlo Dettori a Filippo Crivelli, dalla Ramorino alla Lazzarini fino agli junior, il figlio di Negri e la figlia di Carotenuto) siglano uno dei momenti teatrali più alti del dopoguerra che è curioso rivedere a disegni. Ci sono le paure della «prima», le domande sul teatro epico, le osservazioni consumistiche a «Lascia o raddoppia?», le frecciatine alla «Veglia dei lestofanti» allestita da Bragaglia al Filodrammatici nel 1930, in piena era fascista. E le coincidenze teatral-astrali: la prima dell’«Opera» il giorno del compleanno di Brecht, il 10 febbraio, che invece morirà il giorno della nascita di Strehler il 14 agosto 1956. A monte ci sono libri, articoli, ritagli, ricordi, la fedeltà dei luoghi e dei costumi, compreso Arlecchino che salta fuori a colori alla fine, omaggio ai 20 anni della morte di Strehler, di cui siamo orfani inconsolabili.