Il valore dei simboli
DECADENZA E GLORIA DI UN LIKE
Gloria e decadenza di un simbolo: la comparsa di una misteriosa installazione a forma di enorme «like» in piazza XXV Aprile — proprio nei giorni dello scandalo di Cambridge Analytica — offre l’occasione per una riflessione sul pollicione. Facebook ha ridato gloria a quel gesto della mano con cui nel Senato romano si votava a favore delle leggi e al Colosseo si potevano salvare delle vite. Inutile negarlo: in questi anni siamo stati tutti stregati dalla positività del like. Scagli la prima pietra chi non ha, almeno una volta, regalato un mi piace, magari per noia o per passeggero conformismo. Di per sé il pollicione è un buon messaggio, anche se non possiamo non domandarci quale sia il probabile scopo pubblicitario dell’installazione milanese (c’è dietro Facebook o un’altra società?). Il nocciolo della questione però, come ha svelato crudamente lo scandalo della vendita dei dati di 50 milioni di cittadini americani che sono forse solo la punta di un iceberg, è che la vita reale non è tutta un like. Facebook ha cercato di nasconderci le asperità del pollice verso, simbolo di esclusione, orgoglio e pregiudizio. Il motivo è ovvio: non voleva armare il pollice degli utenti contro la pubblicità, vero motore del social network. Ora la corsa ai selfie in piazza XXV Aprile è un altro segnale dell’innato ottimismo di un cittadino sempre più utente inconsapevole di una pubblicità alla Truman Show. Ma per il like si apre un periodo di decadenza. E per Facebook il pollice, per una volta, è verso.