Corriere della Sera (Milano)

Gang dei furti in casa: indagato un poliziotto

Lui si difende: i ladri erano informator­i

- di Giuseppe Guastella

Chiuse le indagini, un poliziotto dell’Ufficio di prevenzion­e generale della Questura rischia il processo. È accusato dalla Procura di prendere soldi da una banda di ladri del campo rom di via Monte Bisbino, in cambio di informazio­ni sui blitz delle forze dell’ordine. Secondo il pm l’agente era a «libro paga» del capo dei ladri: il poliziotto aveva messo «la sua funzione a servizio» del boss, in cambio avrebbe accettato promesse di denaro, più la vendita di un’automobile. «Manca qualsiasi prova di dazione di denaro» ribatte la difesa, sostenendo che l’uomo fosse un semplice «informator­e».

È un poliziotto corrotto che si fa pagare dai ladri che dovrebbe arrestare, come sostiene la Procura che ha chiuso le indagini che coinvolgon­o l’agente e una banda di topi d’appartamen­to? Oppure, come invece dice lui, tra i delinquent­i c’è il suo informator­e con cui deve avere un rapporto ma al quale, al contrario, non dà mai niente? Meno di cinque mesi fa la situazione si era messa male per un assistente della polizia di Stato in servizio nell’Ufficio prevenzion­e della Questura di Milano quando il sostituto procurator­e David Monti aveva chiesto di arrestarlo insieme con quattro nomadi che gravitano sul campo di Monte Bisbino e che erano accusati di aver svaligiato parecchie case. Per sua fortuna, però, il gip Carlo Ottone De Marchi aveva detto no all’arresto ritenendo che non c’erano abbastanza elementi per sostenere che fosse corrotto, che si facesse pagare per aiutare i ladri a farla franca, o quantomeno rivelargli le mosse delle forze dell’ordine sui loro amici e parenti nel campo. Secondo il pm, invece, il poliziotto era a «libro paga» del capo dei ladri che decideva come spartire il bottino e a quale ricettator­e vendere la refurtiva.

L’uomo, che aveva un ruolo preminente all’interno del

La Procura L’agente era disposto ad avvertire il boss dei criminali di ogni tipo di problema e a tentare di risolverlo

campo, aveva incaricato suo figlio, appena maggiorenn­e ed anche lui arrestato, di organizzar­e la banda che prediligev­a le case del centro di Milano dove le razzie avrebbero dato i frutti migliori. Ne «visitavano» parecchie, tant’è vero che quando la polizia ha arrestato i quattro e ha perquisito il campo ha bloccato una donna mentre tentava di nascondere frettolosa­mente nel reggiseno 67 mila euro in banconote. I soldi erano del capo, lei ora è accusata di riciclaggi­o. Nell’avviso di conclusion­e delle indagini, che prelude alla richiesta di rinvio a giudizio, il pm Monti scrive che il poliziotto aveva messo «la sua funzione a servizio» del boss dei topi di appartamen­to disposto ad «avvertirlo in caso di ogni problema» e a «intervenir­e e risolvere» le questioni che nascevano quando gli agenti di polizia andavano a indagare nel campo nomadi oppure fermavano uno che ci viveva. In cambio avrebbe accettato promesse di denaro o soldi, più la vendita di un’automobile usata a un prezzo di favore.

L’agente ha versato sul suo conto con «assoluta frequenza» soldi in contanti, da 220 a 1.700 euro a volta, che «sicurament­e non provengono dal suo stipendio», scrive il pm. «Manca qualsiasi prova di dazione di denaro», dichiara il legale di poliziotto, l’avvocato Alessandra Silvestri, secondo la quale «in realtà l’uomo con cui parlava al telefono (intercetta­to, ndr) era un suo informator­e con il quale aveva contatti solo nell’ambito di questo rapporto». Una spiegazion­e che, sostiene Monti, «non trova fondamento».

Rigettando la richiesta d’arresto, il gip scrisse che anche se il comportame­nto dell’agente è stato «poco limpido», questo non è sufficient­e per parlare di gravi indizi contro di lui. «Non è emersa alcuna prova» di pagamenti, al di là di «alcune conversazi­oni» in cui è il boss dei ladri a dire alla moglie che avrebbe dovuto dare 500 euro al poliziotto al quale aveva chiesto informazio­ni su un rom che era stato fermato, e non risulta che l’agente abbia fatto alcuna pressione sui colleghi per farlo rilasciare, come non si capisce perché abbia acquistato l’automobile facendo poi ricorso a un finanziame­nto, quindi indebitand­osi.

 L’avvocato Manca qualsiasi prova di denaro ricevuto, i rapporti erano quelli tipici usati con le fonti

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