Affari sporchi nella terra dei fuochi
Da Milano al Pavese, plastica in fiamme nei magazzini. Un sistema milionario dietro i roghi
L’ultima
zona «contagiata» è la provincia di Novara. Ma sono il Pavese e il Milanese le principali aree che formano la nuova terra dei fuochi. Un «sistema» collaudato degli imprenditori è alla base del traffico illegale di rifiuti dopo il blocco delle «esportazioni» in Cina. La mappa dei roghi (preparati ad arte per depistare gli investigatori). Sanzioni non esemplari e ostacoli della burocrazia.
L’ultima contagiata è la provincia di Novara. Zona di confine con uno degli epicentri della nuova « terra dei fuochi » , quel Pavese dove ci sono stati anche incendi ripetuti nelle stesse aziende. I numeri dei roghi dolosi per smaltire illegalmente i rifiuti avevano già subito un forte aumento nel 2017 quando, come rilevato da un rapporto dei vigili del fuoco, gli episodi nel Nord Italia erano cresciuti del 49% su base annua. Adesso, dopo il blocco a gennaio delle importazioni di scarti di plastica e gomma da parte della Cina, a lungo discarica mondiale, il fenomeno s’è ulteriormente ingigantito. Un fenomeno non soltanto nostrano, certo. Ma che qui, non fosse altro per la quantità di rifiuti da smaltire (sono al collasso i 2.700 impianti lombardi che raccolgono anche l’immondizia di altri regioni), sta ampliandosi nelle sue diramazioni criminali. E non per forza sotto la copertura dei clan, che semmai entrano nel racket in seguito, con la tradizionale egemonia nella logistica (la ’ndrangheta e i camion).
Il covo dei capannoni
Torniamo alla provincia di Novara, ancora in una fase «embrionale» seppur molto monitorata dai carabinieri. Uno dei maggiori punti di «forza» dello smaltimento illegale è la vasta geografia di capannoni dismessi, abbandonati per colpa della crisi. Prendendoli in affitto a basso prezzo oppure, specie nelle località isolate, di fatto occupandoli, gli imprenditori hanno già una base solida per poter ospitare tonnellate di scarti. Con grave danno per quella «concorrenza» che rispetta le regole, questi imprenditori si offrono come risolutori. Il guadagno è doppio. Per chi deve disfarsi di quell’immondizia e non vuole sostenere le relative ingenti spese; e per se stessi. Una tonnellata di rifiuti smaltita genera un guadagno di 90 euro. Potrebbe sembrare una cifra irrisoria. Ma dovete moltiplicarla per il numero reale delle tonnellate presenti. Ci sono state situazioni con 20mila tonnellate di scarti a capannone. Che fa un milione e 800mila euro. Un innegabile secondo «punto di forza». Qualcuno potrebbe obiettare: d’accordo, ma si rischia la galera. Vero e non vero.
Le (tenui) condanne Un’analisi delle sentenze di condanna fin qui decretate contro i «trafficanti» di rifiuti, introduce il terzo «punto di forza». A fronte della condotta criminale e dei danni ambientali devastanti, ce la si può cavare con due anni scarsi di cella. Una cella che un incensurato potrebbe non vedere mai. Mancano le classiche sanzioni esemplari che, come succede anche nel reato delle truffe agli anziani, non scoraggiano affatto una condotta illecita, proprio nella certezza di una pena «limitata». Sui rifiuti, eccetto comportamenti solitari e circoscritti a determinati Tribunali, il quadro complessivo registra una notevole lentezza «evolutiva». Nonostante la presa di coscienza delle tre Direzioni distrettuali antimafia più coinvolte: Milano, Brescia e Torino. Al pari del Pavese, Milano è centrale sia dal punto di vista statistico sia da quello delle modalità di comportamento. Vengono in aiuto i rilievi dei vigili del fuoco sull’incendio all’impianto di Cinisello Balsamo della società «Carluccio srl».
Quei roghi gemelli
La segnalazione del rogo avvenuto lo scorso 2 ottobre, «è pervenuta alla centrale» dei vigili del fuoco «solo alle 4.52, pur avendo rilevato» gli stessi pompieri «che con alta probabilità si fosse sviluppato intorno alle 3.30». L’impianto della «Carluccio slr», proprietaria di un’altra ditta ugualmente incendiatasi (a Bruzza-
Il mercato parallelo Tonnellate di rifiuti smaltiti illegalmente generano guadagni per milioni di euro
Le ispezioni lente I commissari si presentano nelle ditte a distanza di giorni dall’avviso ai manager
no il 2 luglio), come rilevato dai vigili del fuoco «non è risultato soggetto a certificato di prevenzione incendi». Il completamento delle indagini appurerà cosa sia davvero successo. Per intanto non si può non riportare un’osservazione degli inquirenti, che chiedono un rapido cambio di passo collettivo. Gli enti incaricati dei controlli nelle aziende dei rifiuti si presentano dopo aver avvisato e a distanza di giorni, con la conseguenza di agevolare la ditta esaminata. È evidente che le aziende irregolari faranno di tutto per rientrare nei parametri. Senza interventi a sorpresa, che dipendono da vincoli della burocrazia, scoprire le magagne in anticipo è pressoché impossibile. E questo è il «quarto punto di forza» per i trafficanti d’immondizia.
L’imprenditore-boss
Ora nuovo procuratore capo di Trento, quand’era a Brescia Sandro Raimondi è stato uno dei magistrati più impegnati nella «codificazione» della nuova «terra dei fuochi» e nella lotta ai trafficanti. A Raimondi si devono preziose chiavi di lettura, come quella sugli imprenditori illegali, con parole pronunciate in sede di audizioni nelle commissioni parlamentari: «L’aspetto qualificante di molte imprese operanti nel settore è quello per cui, ormai, si può fare a meno per certi aspetti di rivolgersi obbligatoriamente alla criminalità organizzata... È diventato un modo callido e intelligente di fare impresa da parte di alcuni operanti del settore... Io lo definisco un reato di impresa dove l’imprenditore ha imparato come fare da solo, in modo autarchico... Ha imparato a far ciò senza rivolgersi a esterni, ma mettendo in essere una serie di attività in proprio per la gestione dell’illecito trattamento». Incendiare scarti è ormai una «specializzazione» in costante «miglioramento».
I punti di innesco
Le inchieste (condotte localmente dalle forze dell’ordine e condivise con gli esperti del Noe dei carabinieri) iniziano dalla ricerca del punto di innesco dell’incendio. Se le pozze di liquido infiammabile eventualmente utilizzate lasciano tracce definite «inconfondibili» sulle pavimentazioni degli impianti andati a fuoco, subentrano numerose variabili che alzano le difficoltà. Alcuni materiali più impermeabili (cemento e tessuti che possono benissimo comparire nelle ditte bruciate poiché queste «ospitano» ogni tipo di scarti) assorbono i liquidi infiammabili e conservano a lungo le tracce. Altri materiali (cellulosa e schiume sintetiche) possono invece determinare un incendio covante, ovvero a combustione lenta, senza fiamma e di solito a bassa temperatura. I trafficanti hanno tutto il tempo per nascondere gli indizi, scappare e magari costruirsi un alibi.