Corriere della Sera (Milano)

Il pavé da difendere

LA STORIA A FILO PAVIMENTO

- Di Lorenzo Viganò

Era il 1884 quando per la prima volta in un documento ufficiale (il Piano Beruto) si parlò della copertura dei Navigli. Se si pensa che ci vollero quasi cinquant’anni perché i lavori iniziasser­o — nel 1929 — non deve stupire che l’intenzione di riaprirli continui a essere da anni oggetto di incontri e dibattiti tra favorevoli e contrari. A breve se ne parlerà ancora ed è prevedibil­e che anche questa volta non si arriverà a una decisione definitiva. Ma, viene da chiedersi, siamo proprio sicuri che, al di là dell’ipotesi suggestiva di riportare Milano a «città d’acqua» com’era ai tempi di Stendhal che la considerav­a la più bella d’Europa, scoperchia­re i Navigli sia davvero una priorità? Che passi (soltanto) da lì la riconquist­a di un’identità perduta? Forse, anziché discutere e battersi per ripristina­re un passato tumulato per questioni igieniche, sarebbe più importante custodire e tutelare ciò che di quel passato è rimasto e vive. A cominciare dal pavé che ciclicamen­te si propone di sostituire con un più pratico asfalto. Eppure le lastre di pietra e di porfido, magari tagliate dalle rotaie del tram, danno anima e carattere a ogni centro storico, sono il suo maquillage. E toglierle, per ragioni di praticità e sicurezza, equivarreb­be a cancellare (come con i Navigli) la storia di chi le ha calcate, rendendo anonime vie, piazze e strade. Semmai il problema del pavé è curarne la manutenzio­ne. E valutare fin da oggi che cosa fare, prima di ritrovarci fra cinquant’anni a indire referendum e dibattiti per ripristina­rlo.

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