Monumentale Il genio eclettico di Maciachini
Per i 200 anni, riscoperte le sue 18 edicole «Restaurò le più importanti chiese di Brera»
È stato il re dell’«eclettico». Nei duecento anni della nascita, Carlo Maciachini rivive attraverso le sue edicole, gli imponenti monumenti funebri commissionati dalle famiglie della nascente borghesia meneghina. Sono diciotto in tutto, collocate nel cuore del cimitero Monumentale che lui stesso aveva progettato. Domenica pomeriggio, il Comune ospiterà un tour mirato, ultima delle iniziative promosse dal Comitato per le celebrazioni del bicentenario che prendono il via venerdì, da Induno Olona, dove l’architetto nacque. Preceduto da un breve concerto del «Duo concertante» con Vittorio Benaglia alla viola e Sofia Manvati al violino, il tour farà tappa alle edicole in stile neoegizio, come quelle delle famiglie Manconi e Dall’Acqua, in stile corinzio della famiglia Sonzogno, l’editore di Verdi e Puccini. Si visiteranno le edicole Calegari e Ligresti (ex Ghiotti) in stile neobizantino, quelle neorinascimentali intitolate ai Brambilla e ai Keller, il banchiere svizzero che raccolse i fondi per dotare il Monumentale del primo forno crematorio. Passando per l’edicola Rosazza, dove nei capitelli elaborati si possono vedere con chiarezza le sue origini di intagliatore del legno.
Non c’è più traccia dell’abitazione caratterizzata da elementi architettonici pseudomedievali che Maciachini, ormai famoso, fece costruire nell’odierna via Turati per sé, i tre figli e la moglie, una sartina conosciuta nel quartiere Brera quando appena diciassettenne era arrivato dal Varesotto per lavorare e, poi, studiare all’Accademia. Aveva lasciato la casa colonica nelle campagne di Induno, dov’era cresciuto in una famiglia di umili origini. «Nei registri di iscrizione all’Accademia — spiega Carla De Bernardi, presidente dell’Associazione Amici del Monumentale — risulta che si iscrisse a vent’anni, poi spariscono le tracce e lo si ritrova quarantenne laureato in Architettura e Ornato». La casa andrò distrutta durante i bombardamenti della Seconda guerra mondiale. In quello che anche all’epoca era un quartiere molto ambito dall’alta borghesia, oggi c’è il palazzo di Giò Ponti.
È poco noto come architetto Maciachini, perché si dedicò soprattutto ai restauri. Noti quelli di chiese importanti come San Marco, San Simpliciano e Santa Maria del Carmine. Mise mano anche al Duomo di Pavia dove però la cupola non resse, tant’è che su di lui piovvero critiche che lo lasciarono amareggiato. Quando vinse il concorso per realizzare il Monumentale, aveva già disegnato la chiesa greco ortodossa di San Spiridione che sarà edificata sulle vecchie saline di Trieste. Sempre miscelando gli stili.
Il cimitero per Milano che volta pagina dopo il dominio austriaco, che vuole essere moderna e che fino a quel momento aveva cinque camposanti/fopponi fuori delle mura — con molte sepolture comuni, poche tombe con lapide e nome —, è una piccola città nella città. «Maciachini vince il concorso — aggiunge De Bernardi — perché consegna un’opera completa, con un impianto organico molto bello, armonioso, completo, che ha un grande corpo centrale che si protende verso la città. E inventa uno stile, l’eclettico, che aprirà la strada al Liberty. Alle spalle del Famedio concepisce un grande parco, di cui cura anche l’essenza delle alberature, studia i viali, le siepi, le panchine. Il cuore è la Necropoli, la città dei morti, dove si trovano le cappelle più importanti». Del Comitato per le celebrazioni fanno parte i Comuni di Induno, Varese, Soprintendenza, esperti e storici dell’arte.